Nell’occasione
del 150.mo anniversario dell’unità d’Italia, si è parlato molto anche del ruolo
della donna nella ricostruzione dell’Italia, ruolo che i mass media hanno voluto
evidenziare presentando figure femminili legate per lo più al campo
socio-politico, o perché compagne di uomini politici di spicco, o perché sostenitrici
dei partigiani alla fine della seconda guerra mondiale, la cosiddetta
‘rivoluzione rossa’, di cui nessuno osa parlare,[1]
o perché hanno sostenuto battaglie culturali in nome di un’emancipazione femminile
rivelatasi spesso falsa perché sganciata dalla responsabilità e dal rispetto
del proprio ruolo femminile. Quell’Italia del Risorgimento spesso preda di
sterili proteste, o di rivoluzioni inutili o di accaparramento di poteri a
scapito dei poveri.[2]
Assoluto
silenzio invece sull’operato di altre donne italiane che negli ultimi due
secoli hanno contribuito in maniera
determinante alla costruzione della nuova Italia, lavorando a vasto raggio sotto l’insegna di un solo motto ‘l’amore’. Un amore inteso come dono totale di sé, realizzato nella famiglia o nella società attraverso forme assistenziali, o culturali, o di formazione della coscienza.
determinante alla costruzione della nuova Italia, lavorando a vasto raggio sotto l’insegna di un solo motto ‘l’amore’. Un amore inteso come dono totale di sé, realizzato nella famiglia o nella società attraverso forme assistenziali, o culturali, o di formazione della coscienza.
Pensiamo
ad esempio a quella figura di donna esile ma gigantesca che è stata Francesca Cabrini, vissuta tra la fine
dell’800 e morta nel 1917 che, da semplice maestrina, figlia di un contadino
della Val Padana, ha capito di dover realizzare qualcosa per prestare soccorso
a quegli emigranti italiani costretti ad abbandonare la loro patria per
sopravvivere cercando fortuna in terre lontane, per lo più nelle Americhe,
soli, affamati, disorientati e sprovvisti di tutto.
Ebbene,
la Cabrini, proclamata poi santa, con l’appoggio del Santo Padre Leone XIII che
intuì la sua tempra di vera apostola dietro a quella sua figura debole e spesso
malata, fondò a Codogno l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù e
si imbarcò con sette suore per New York. Attraversò l’Atlantico una trentina di
volte, una volta perfino la Cordigliera delle Ande, lavorò alacremente con le
sue suore in Nicaragua, Usa, Brasile e Argentina con una forza che sa di
miracolo per risanare le piaghe dell’emarginazione sociale dei suoi
connazionali, tanto da essere definita: ‘L’Angelo degli emigranti’. Fondò
scuole, orfanotrofi, ospedali, ospizi sia nelle Americhe che nell’Europa,
permettendo a molti emigranti e ai loro figli di poter tornare poi in patria.[3]
Chi
parla di lei? Chi la conosce? La Cabrini è una vera artefice non solo della
nuova Italia, ma anche degli Stati d’America dove ha operato e il cui lavoro si
è esteso a macchia d’olio dopo la sua morte, a tal punto da essere stata
insignita di titoli onorifici non solo in Italia (la stazione di Milano ad
esempio è stata dedicata a lei) ma anche negli Usa in quanto promotrice di
valori umani, di civiltà, di cultura e di progresso.
Altra
figura di spicco nel campo dell’assistenza, è la Beata Giuseppina Nicoli di Pavia. Fu inviata dal suo Istituto di S.
Vincenzo in Sardegna per lavorare tra i poveri, e lì pensò di riscattare dalla
miseria morale e materiale migliaia di ragazzini sbandati e sfruttati che
lavoravano nei vari porti delle coste sarde per un tozzo di pane. Per loro ideò
case-famiglia, scuole, campi di lavoro, cooperative agricole... offrendo loro
studio, lavoro, dignità e molto calore umano.
Così
pure la Beata Vincenza Polloni,
cofondatrice col Beato Carlo Steeb delle suore della misericordia, che hanno
trasformato i miseri e talvolta luridi ospizi di quel tempo in ospedali
dignitosi dove regna pulizia, ordine, igiene, e soprattutto amore e cure
adeguate per tutti i malati.
Ma
troviamo donne eccezionali anche nel campo della cultura. Pensiamo ad esempio
alla contessa Elena da Persico di Verona
che, nella prima metà del ‘900, seppe valorizzare la dignità della donna, non
solo aprendo scuole e centri rurali per analfabete e contadine, ma anche
attraverso iniziative volte a reclamare i loro diritti come protagoniste della
vita famigliare, sociale e politica, intesa come servizio a Dio e al prossimo. Fu
infatti la prima donna chiamata a par parte del Consiglio Provinciale della DC
di Verona nelle elezioni del 1946.
E
poi Armida Borelli che fondò l’Azione
Cattolica, con lo scopo di trasmettere la dottrina sociale della Chiesa ai
fedeli laici attraverso gruppi di studio e di preghiera sparsi sul territorio.
Un
breve accenno alle numerose figure di donne carismatiche fondatrici di
movimenti o congregazioni femminili per l’insegnamento e la valorizzazione
della persona secondo gli insegnamenti del Vangelo, quali Chiara Lubich per il movimento dei Focolarini, Leopoldina Nodet per le suore della Sacra Famiglia, Fedora Campostrini e molte altre, per passare
a menzionare anche tutte quelle donne che hanno contribuito alla ricostruzione
della nostra Patria partendo dal ‘cuore’, cioè dall’interiorità più profonda, attraverso
l’immolazione della propria vita nei monasteri di clausura, da dove attirano grazie
e benedizioni sulla nostra Patria. Figura
splendida in tale senso anche per la sua bellezza è stata la marchesa Alessandra di Rudinì Carlotti
che, dopo una vita dissipata e travagliata (fu anche amante di Gabriele
d’Annunzio), si convertì ancora giovane facendosi suora carmelitana di
clausura, dando impulso al suo istituto con nuove fondazioni e vocazioni. Raccontano
i suoi biografi che, al momento di lasciare definitivamente la sua villa sul
lago di Garda, mentre gli inservienti la supplicavano di non andarsene, ella,
con fare deciso e passo risoluto, proseguì la sua strada attraverso il lungo
viale alberato senza mai voltarsi indietro fino a raggiungere la carrozza che
l’avrebbe portata al Carmelo in Francia.
E che
dire dell’altra commovente figura femminile che è Benedetta Bianchi Porro? A pochi passi dalla laurea in medicina
scopre di avere un terribile male e invece di disperarsi, si mette come bimba
nelle mani di Dio Padre e lì trova la forza di consolare altri facendo loro
scoprire il valore meraviglioso della vita anche nei suoi aspetti più terribili.
Queste
donne straordinarie e moltissime altre, spose e madri esemplari che hanno
trasmesso il valore dell’amore, della
famiglia, della maternità e della fede, sono le vere, autentiche colonne
della nostra Italia fondata su una miriadi di piccole celle che sono le
famiglie.[4]
Si
potrebbe obiettare che cosa centra la preghiera e la fede nella ricostruzione
dell’Italia del Risorgimento? Che piaccia o no ai laicisti incalliti, sta di
fatto che le vere ricostruzioni, in qualunque epoca storica, dalla venuta di
Cristo in poi, anche dopo calamità terribili, sono state realizzate per lo più
dai santi o comunque dai credenti perché la forza che proviene dalla fede e
dalla preghiera è di gran lunga più efficace di tutte le battaglie laiche che
si possono intraprendere per la giustizia e l’uguaglianza, per il fatto che,
attraverso la preghiera, è Dio stesso che interviene in nostro aiuto. E se
adesso notiamo solo disastri attorno a noi, come se Dio ci avesse abbandonati,
è perché sono scomparse fede e preghiera anche in molte persone di chiesa,
donne in testa.
Infatti
il primo forte, inesorabile declino per la donna iniziò con la rivoluzione del
’68. Attratta da falsi miti di libertà, la
donna ha iniziato irreversibilmente la sua opera di distruzione dell’Italia. All’insegna del libertinaggio sfrenato e del
motto ‘il corpo è mio e ne faccio quello che voglio io’, da madre premurosa è
diventata perfida matrigna, e da sposa fedele e innamorata è diventata adultera
calcolatrice alla caccia di avventure e di soldi. Quante lacrime, tragedie, omicidi,
depressioni, quanti figli allo sbando, a causa dello sfascio della famiglia, calamità
peggiori della bomba atomica perché i divorzi hanno provocato disastri
psichici, fisici e morali più forti delle stesse guerre.[5].
E a provocarlo nell’85% dei casi è la donna, la moglie, la madre che, attratta
da false chimere di carriera o di libertà, o da lusinghe di qualche
approfittatore di turno, decide di sbarazzarsi del marito come si fa con un
vestito vecchio da buttare.
E da quando la donna ha
permesso che il bambino, il frutto del suo grembo venisse dilaniato e distrutto
e buttato al macero con la legge sull’aborto del ‘78, si è aperto un baratro di
iniquità senza fondo, a tal punto che non si è mai visto un così
terribile e progressivo disprezzo per la vita dell’uomo come in questi ultimi
decenni.
E’
quanto vanno insegnando per le varie università del mondo, compresa l’Italia,
gli artefici della morte, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, sulle orme del
loro ‘maestro’, Peter Singer, secondo i
quali non solo il ‘feto’ come lo chiamano loro, cioè il bambino nel grembo
della madre, ma anche il bambino già nato può essere eliminato in qualunque
momento, perché incosciente e pertanto non persona. ‘È ipocrita far abortire la donna all’ottavo mese e non consentire
l’eutanasia neonatale. Molti anni fa, nel 1994, proposi di fare eutanasia fino
a un mese dalla nascita. Oggi penso che non dovremmo porre alcun limite
temporale’ (Peter Singer, Ripensare alla vita, Il Saggiatore, 1996). Secondo questo assioma demenziale, è
sufficiente che uno dorma per essere incosciente, quindi non persona, e
pertanto passibile di eliminazione. Era
prevedibile che, legalizzato l’aborto, non
si sarebbe più arrestata la sete di morte da parte di quelle lobby che odiano l’uomo,
bersaglio del diavolo, in quanto immagine e somiglianza di Dio.
A
questo punto, che sperare? Solo che la donna si ravveda, riprenda in mano la
sua dignità perduta e inizi la sua battaglia, forte e coraggiosa, in nome di
Cristo e della bellezza della vita umana, contro tutti i seminatori di morte,
per amore dei nostri figli e di tutta la società. Coraggio!
Note
[1] Marco Pirina, 1945-47
guerra civile, La Rivoluzione rossa, Ed. Centro Studi Pordenone
[3] Sergio C. Lorit, La
Cabrini, ed. Città Nuova.
[4] Costanza Miriano, Sposati
e sii sottomessa, Pratica estrema per donne senza paura. Ed. Vallecchi
[5] Ugo Borghello, Le crisi
dell’amore, prevenire e curare i disagi famigliari, ed. Ares
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