mercoledì 1 marzo 2017

Per la vita o per la morte?

Siamo ormai così abituati al lavaggio del cervello dei media nel presentare il solito caso pietoso del malato grave usato per bypassare il suicidio volontario come segno di libertà, (come presentavano il caso della madre costretta ad abortire clandestinamente per bypassare la legge sull’aborto), che dovremo presto rassegnarci a vedere legalizzato anche questo delitto, che si voglia chiamare eutanasia, o testamento biologico o quant’altro.

Infatti come sono stati ammazzati con una superficialità
spaventosa milioni di bambini partendo dalla legge 194 che voleva limitare l’aborto ai soli casi rari e pietosi, altrettanto accadrà con questa legge infame presentata come diritto di

decidere della propria vita, ma in realtà pilotata dai soliti poteri forti che hanno tutto il luciferino interesse a eliminare anziani e malati di qualunque età considerati un peso per la società. Non per nulla gli anziani cominciano a temere il ricovero in ospedale perché ormai tira aria di “dolce morte”.

E di questo passo, ammazza bambini e ammazza anziani, quale lavoro pretendono di trovare i giovani se vediamo attorno a noi banchi di scuola vuoti e ospedali in totale abbandono? Pretendiamo che l’economia vada a gonfie vele quando mezza umanità viene fatta fuori dall’altra metà?  In Olanda grazie alla legge sull’eutanasia anche per ragazzi e bambini malati (sic!) sono triplicati le morti per i malati psichici e i disabili. Attenzione a non rompersi qualche osso con convalescenze troppo lunghe perché potrebbero farti fuori dolcemente a tua insaputa.

La vita ha un valore immenso sempre, e non solo quando è nel pieno delle sue forze. Anche i malati gravi, se sono accompagnati da persone o parenti che li invogliano a vivere, sono felici di portare avanti la loro situazione fino all’ultimo giorno, con l’aiuto di Dio nella preghiera e della medicina che al giorno d’oggi sa alleviare anche dolori molto forti. Purtroppo quello che manca nel superare tante difficoltà è proprio la fede in Dio e l’abbandono nelle sue mani perché Dio, da Padre buono quale è, se permette una croce grossa, offre sempre anche la forza per saperla portare con fiducia. Con Dio tutto si supera, da soli si cade nella disperazione.

La verità è che la vita su questa terra è breve, è fatta di gioie ma anche di dolori, di serenità ma anche di malattie, di entusiasmi ma anche di fatiche ecc. Non è tutto e sempre all’insegna del godimento!. Ci sono malattie morali (abbandoni, lutti, umiliazioni, depressioni, tradimenti, ingiustizie ecc.) che sono peggiori di quelle fisiche! Che fare? Vogliamo legalizzare anche i continui episodi di omicidi-suicidi per tradimento o gelosia o disperazione o quant’altro? Non abbiamo invece il dovere tutti quanti, di aiutarci a vivere nel migliore dei modi superando le difficoltà o affrontandole con i mezzi a disposizione che sono tanti oggigiorno?

La vita su questa terra è breve, gli anni concessi da Dio a ciascuno di noi dobbiamo viverli tutti, nemmeno un mese in meno. Poi ci aspetta il giudizio di Dio non solo sulle azioni buone o cattive che abbiamo compiuto, ma anche su come abbiamo saputo vivere la fede, la fortezza e il perdono nelle prove della vita. Tutti dovremo presentarci davanti al giudizio di Dio e a colui che ha ricevuto di più, sarà chiesto di più. Ma chi crede ormai alla Vita Eterna? Forse i nostri illustri Prelati del Vaticano intenti a studiare il metodo per la raccolta differenziata, o per la distribuzione dell’acqua, o per la pace sociale ottenuta a forza di cedere sui nostri valori essenziali fino a rinnegare Gesù Cristo? Ma a Dio non la si fa e terribile sarà la resa dei conti per quei Pastori che hanno deviato il gregge di Cristo anziché pascolarlo ai pascoli della Vita Eterna.

Impariamo dai Santi a vivere e offrire a Dio la malattia e il dolore, come Santa Bernardetta e Santa Faustina dicendo spesso: “Gesù confido in te” e acquisteremo meriti per noi stessi e per gli altri. Quanta pace e quanta gioia anche nella croce. La nostra fede cattolica, sull’esempio di Gesù, ci insegna a vivere bene, nella gioia e nel dolore, e a morire meglio.

Patrizia Stella

patrizia@patriziastella.com

Ritengo pertinente in questo contesto riportare alcune frasi del libro “Uno psicologo nei lager” del dottor Viktor Frankl, ebreo non praticante, che è vissuto per anni accanto ai prigionieri destinati alla morte incoraggiandoli ad affrontare la sofferenza con motivazioni soprattutto umane, facendo leva sulla dignità immensa dell’uomo che esige una risposta all’altezza del suo destino di eternità:

"... Poichè non ha senso solo la vita attiva, nella quale l'uomo ha la possibilità di realizzare dei valori in modo creativo: e non ha un senso solo la vita ricettiva, cioè una vita che permette all'uomo di realizzare sperimentando la bellezza nel contatto con arte e natura. LA VITA CONSERVA TUTTO IL SUO SENSO, ANCHE QUANDO SI SVOLGE IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO, QUANDO NON OFFRE QUASI PIU' NESSUNA PROSPETTIVA DI REALIZZARE DEI VALORI, CREANDOLI O GODENDOLI, MA LASCIA SOLAMENTE UN'ULTIMA POSSIBILITÀ DI COMPORTAMENTO MORALMENTE VALIDO.  La vita creativa e quella ricettiva ci sono da tempo negate. Ma non solo la vita creativa e quella ricettiva hanno un senso: se la vita ha un significato in sè, allora deve avere un significato anche la sofferenza perchè la sofferenza, in qualche modo, fa parte della vita - proprio come il destino e la morte. Solo con miseria e morte, l'esistenza umana è completa.   Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tutta la sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sè la sofferenza come la "sua croce" sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all'ultimo atto di esistenza. A seconda se uno resta coraggioso e forte, dignitoso e altruista, o se dimentica di essere un uomo nella spietata lotta per sopravvivere, e diventa in tutto e per tutto l'animale di un gregge, a seconda di ciò che accade dentro di lui, l'uomo realizza o perde i possibili valori morali che la sua dolorosa situazione e il suo duro destino gli consentono e, a seconda dei casi, l'uomo è, come afferma Dostojewski: "degno o no del suo tormento".

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