PRETI GAY… Non è solo la diocesi di Verona a emergere in questi ultimi tempi per episodi di una gravità inaudita commessi da qualche sacerdote che non solo infanga il suo ministero sacerdotale con peccati contro natura che Dio ha sempre punito molto severamente sin dai tempi di Sodoma e Gomorra, ma addirittura se ne fa motivo di vanto, andando all’estero a esibire pubblicamente le sue miserie col suo compagno di letto, (la parola “matrimonio” neppure si deve menzionare in questi casi, talmente è ridicola e fuori luogo), e come se non bastasse continua a farsi propaganda sui giornali affermando di sentirsi sempre prete in cuor suo, quasi a voler aprire un nuovo capitolo sulla possibilità di far parte della ipotetica nuova categoria dei cosiddetti “preti-gay” con compagno fisso o saltuario, o con più compagni, o con tendenze bis, plus, etero, omo e via dicendo.. pretendendo perfino la benedizione di Dio su di lui e sui vari “compagni di letto”. Ma non prova vergogna marcia? Crede forse di imbrogliare lo stesso Dio? O forse si sente in cuor suo giustificato da certi comportamenti ambigui di alti Prelati della Chiesa che si rifiutano di giudicare i gay? Categoria o casta intoccabile! La fede cristiana è esigente con tutti, ma in particolare con i consacrati a Dio ai quali il Signore chiederà severamente conto del loro operato.
I media comunque soffiano su questi scandali mostrando solo l’aspetto gaudente di queste trasgressioni, ma nessuno scrive poi come vanno a finire questi disgraziati: spesso con pazzia, disperazione, stenti, per arrivare all’omicidio e al suicidio per tutti coloro che intraprendono simili cammini contro natura perché chiamano in causa prima o poi l’intervento di satana nella loro vita che incita a questi comportamenti sempre più trasgressivi e osceni, senza ogni limite e pudore come dalle parole del Sommo Poeta “sono come una lupa che dopo il pasto, ha più fame che pria”.
PRETI SANTI. La gente comune, che tribola per pagare affitto o mutui, e per educare cristianamente i propri figli nella speranza che non cadano in certi pericoli per l’anima e per il corpo, comincia a non poterne più di questi scandali da parte del Clero e per questo abbiamo anche il dovere di far conoscere l’altro aspetto della medaglia, cioè episodi edificanti di sacerdoti santi che hanno dato onore alla diocesi di Verona per la loro vita esemplare e santa, vite meravigliose di cui i media certamente non parlano. Molti di loro, beatificati e anche canonizzati sono vissuti tra i primi dell’800 e del 900 ma le loro opere esistono tuttora e anche per questo vanno ricordati e proposti come modelli anche nei seminari e nei noviziati. Pensiamo ad esempio al beato Carlo Steeb, che da luterano convinto, venuto in Italia da Tubinga, proprio a Verona ha trovato la sua conversione alla fede cattolica, è diventato sacerdote e ha fondato l’Ordine delle “Sorelle della misericordia” che accudivano, a quei tempi soprattutto ammalati gravi, tubercolotici, appestati, militari feriti che nessuno voleva toccare con un eroismo e santità esemplari.
Pensiamo anche a San Daniele Comboni che è stato il primo vero grande pioniere dell’Africa in quella metà dell’800 quando era impensabile penetrare in quel Continente con i mezzi di allora! Il Comboni, che ha dato vita alla Congregazione dei “Padri Missionari per l’Africa”, morti a migliaia in quelle terre per malattie tropicali o trucidati da veri eroi e santi, ha capito che si doveva aiutare quella gente alla luce di un preciso motto ““salvare l’Africa con l’Africa” cioè mettendo gli africani stessi in grado di provvedere al loro sostentamento, sviluppo e benessere senza dover abbandonare la loro terra, tranne che per studio o addestramento per poi farvi ritorno, e non certo con la deportazione e la schiavitù, come già avvenuto secoli or sono e come si sta ripetendo ai nostri giorni, purtroppo, attraverso un meccanismo diabolico orchestrato da lobby potenti sulla pelle dei poveri.
Pensiamo a San Gaspare Bertoni, Fondatore degli Stimatini per la diffusione delle scuole cristiane; a San Giovanni Calabria, che ha fondato un Ordine religioso per dare dignità e lavoro ai poveri sia in Italia che nelle terre del Brasile e del sud America. Pensiamo a Santa Maddalena di Canossa che ha lasciato la nobiltà del suo palazzo per fondare un Istituto “Madri Canossiane” allo scopo di provvedere all’istruzione e protezione delle ragazze a quei tempi abbandonate e sfruttate. E così via per molti altri beati e santi che nella diocesi di Verona e grazie al sostegno dei Vescovi hanno trovato il terreno fertile per nuovi apostolati.
Vale la pena ricordare anche il servo di Dio, don Antonio Provolo che fu il primo nel lontano 1839 a escogitare sistemi all’avanguardia per l’insegnamento ai ragazzi sordomuti aprendo scuole specializzate e fondando una Congregazione religiosa per l’educazione di questi ragazzi, una benemerita fondazione alla quale va il pregio, l’onore e il merito di aver permesso a migliaia di giovani sordomuti di relazionarsi col mondo, di avere la gioia di capire e di essere capiti, di sorridere e di essere felici di vivere pur nella loro disabilità. Eppure quanto scandalo ha sollevato un episodio di 50 anni fa di cui neppure si ha certezza, a tal punto da infangare tutto l’Ordine! Ecco cosa riescono a fare i nemici di Dio, quelli che poi vanno negli asili a diffondere la teoria del gender, invitando alla pedofilia e alla prostituzione e gridando allo scandalo se anche un prete poi casca nelle loro reti luciferine.
C’è da chiarire, comunque, che per la dottrina della Chiesa la santità non viene dichiarata a motivo delle opere buone o delle fondazioni che un candidato compie, consacrato o laico che sia, ma per la sua fede profonda nel Signore Gesù che lo porta ad evangelizzare, e per le virtù eroiche che lui vive, tra le quali emerge la castità, che deve essere vissuta sia nel celibato che nel matrimonio, perché un conto sono eventuali tentazioni o cedimenti dei quali ci si deve pentire chiedendo perdono a Dio nella Confessione col proposito di fuggire le occasioni pericolose di peccato, altra cosa invece è uno “stato di peccato costante” che alcuni ormai considerano normale, soprattutto i cosiddetti “preti gay” che molti ritengono quasi una “aggiunta” al loro stato sacerdotale. Questo è un peccato gravissimo per tutti, maschi e femmine, laici o consacrati, che viene annoverato, nel catechismo della Chiesa cattolica, tra i “Quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: 1) Omicidio volontario, 2) peccato impuro contro natura, 3) oppressione dei poveri, 4) frode nel salario agli operai.
Altra figura di sacerdote veronese dei nostri giorni che sta emergendo sulla strada della santità è don Ferdinando Rancan, appartenente alla Prelatura dell’Opus Dei come sacerdote diocesano, passato alla gloria del cielo il 10 gennaio 2017, che non ha realizzato nessuna fondazione straordinaria, se non di diffondere quella che il Signore gli aveva fatto conoscere sin dal 1954, l’Opus Dei, ma che ha vissuto in maniera straordinaria, con vero amore, come voleva il Fondatore dell’Opus Dei, San Josemaria Escrivà, il ruolo affidatogli da Dio: cioè una vita da vero sacerdote diocesano, di quelli che si vedono in chiesa a pregare il breviario, a fare adorazione davanti al Tabernacolo, a celebrare anche più di una Messa al giorno, a curare la catechesi, le anime, i malati, sempre disponibile per confessioni, direzioni spirituali, aiuti di ogni genere anche ai bisognosi fatti con umiltà e solo per amor di Dio.
Sta di fatto che, mentre per i sacerdoti “mondani” di cui sopra, se ne parla fino alla nausea per creare scandalo, di altri sacerdoti in concetto di santità, come di don Ferdinando che avrebbe molto da insegnare soprattutto attraverso l’esempio della sua vita quasi roccambolesca di castità e di fedeltà eroica vissuta nel turbinio dei nostri giorni e non nell’ottocento, non se ne parla affatto, ma si è perfino cercato di metterlo a tacere, impedendo la pubblicazione del libro autobiografico “STORIA DI UN SOMARELLO” Sacerdote cattolico fino all’ultimo respiro. Pubblicazione che la prestigiosa casa editrice Cantagalli si era offerta di realizzare ma che è stato ostacolato proprio da coloro che avrebbero dovuto essere fieri e orgogliosi di avere un parente e un confratello di tale levatura spirituale e culturale da presentare al mondo: i suoi due nipoti e certi “zelanti” confratelli della Prelatura dell’Opus Dei. Costoro, nonostante la prefazione da parte di ben due Vescovi, Mons. Zenti di Verona e Mons. Negri, già Vescovo di Ferrara, e la testimonianza di un teologo che lo ha conosciuto da vicino, Mons. Gino Oliosi, lo hanno in pratica boicottato, se non fosse stato per l’impegno dei curatori del libro che hanno realizzato la stampa come “pro manuscripto” per ottemperare alla volontà del defunto che voleva fosse pubblicato post mortem.
Tralasciamo le motivazioni ufficiali dal sapore pretestuoso che sono state date, tali però da aver potuto bloccare la Casa editrice a norma di legge e poniamoci una domanda: “Come mai tanti ostacoli per la pubblicazione di un libro autobiografico pronto da anni, positivo e perfino edificante, libro che ha la prefazione di due Vescovi e di un teologo e che era atteso da tanta gente che ha conosciuto personalmente l’autore sperimentandone la santità di vita?”
La risposta che balza alla mente di molti si potrebbe riassumere così: in questo momento di grande confusione dottrinale, anche all’interno della Chiesa, la figura e l’opera di don Ferdinando Rancan potrebbe non risultare in linea con un pensiero corrente dominante che rovinosamente si sta facendo strada. Don Ferdinando, infatti, non è stato un prete battagliero o un confutatore di eresie, ma neppure si è lasciato incantare dalle sirene del “politicamente corretto”. È stato semplicemente un autentico e vero sacerdote, dotto, umile, provato nel corpo e nell’anima, di grandi virtù e di un’intensa vita di preghiera che, illuminato dallo Spirito Santo, ha saputo cogliere “i segni dei tempi”, mantenendosi sempre ancorato alle verità della Fede che non mutano con le mode del mondo.
Il suo sincero amore per la Chiesa e per il Papa (durante tutto l’arco della sua vita di novantenne ne conobbe ben otto, da Pio XI a Papa Francesco), lo portava a pregare molto per lui, con obbedienza filiale e con tutto il cuore, sapendo però ben distinguere innanzitutto il suo Magistero come “Vicario di Cristo”, da quella “azione pastorale” non vincolante per la coscienza del cristiano, soprattutto quando risulta non essere in piena sintonia con i principi del dogma e della morale stabiliti dal Magistero solenne della Chiesa.
La sua profonda umiltà, non quella falsa che cede a tutti i venti di tempesta, ma quella ben solida perché ancorata alla Parola di Dio e ai Sacramenti, è manifestata perfino dal titolo che lui stesso ha voluto dare al libro: “Storia di un somarello”, quel somarello che San Josemaria Escrivà, il Fondatore dell’Opus Dei, aveva preso come “modello” di virtù per tutti i suoi figli: esempio di umiltà ma anche di laboriosità, di tenacia ma anche di docilità alla volontà di Dio in mezzo alle prove della vita. La vita di molti Santi, come quella di padre Pio, è stata costellata da incomprensioni, spesso da parte dei loro stessi confratelli, ma prima o poi è il Signore stesso che si impegna a far luce. Raccomandiamoci alla sua intercessione.
I media comunque soffiano su questi scandali mostrando solo l’aspetto gaudente di queste trasgressioni, ma nessuno scrive poi come vanno a finire questi disgraziati: spesso con pazzia, disperazione, stenti, per arrivare all’omicidio e al suicidio per tutti coloro che intraprendono simili cammini contro natura perché chiamano in causa prima o poi l’intervento di satana nella loro vita che incita a questi comportamenti sempre più trasgressivi e osceni, senza ogni limite e pudore come dalle parole del Sommo Poeta “sono come una lupa che dopo il pasto, ha più fame che pria”.
PRETI SANTI. La gente comune, che tribola per pagare affitto o mutui, e per educare cristianamente i propri figli nella speranza che non cadano in certi pericoli per l’anima e per il corpo, comincia a non poterne più di questi scandali da parte del Clero e per questo abbiamo anche il dovere di far conoscere l’altro aspetto della medaglia, cioè episodi edificanti di sacerdoti santi che hanno dato onore alla diocesi di Verona per la loro vita esemplare e santa, vite meravigliose di cui i media certamente non parlano. Molti di loro, beatificati e anche canonizzati sono vissuti tra i primi dell’800 e del 900 ma le loro opere esistono tuttora e anche per questo vanno ricordati e proposti come modelli anche nei seminari e nei noviziati. Pensiamo ad esempio al beato Carlo Steeb, che da luterano convinto, venuto in Italia da Tubinga, proprio a Verona ha trovato la sua conversione alla fede cattolica, è diventato sacerdote e ha fondato l’Ordine delle “Sorelle della misericordia” che accudivano, a quei tempi soprattutto ammalati gravi, tubercolotici, appestati, militari feriti che nessuno voleva toccare con un eroismo e santità esemplari.
Pensiamo anche a San Daniele Comboni che è stato il primo vero grande pioniere dell’Africa in quella metà dell’800 quando era impensabile penetrare in quel Continente con i mezzi di allora! Il Comboni, che ha dato vita alla Congregazione dei “Padri Missionari per l’Africa”, morti a migliaia in quelle terre per malattie tropicali o trucidati da veri eroi e santi, ha capito che si doveva aiutare quella gente alla luce di un preciso motto ““salvare l’Africa con l’Africa” cioè mettendo gli africani stessi in grado di provvedere al loro sostentamento, sviluppo e benessere senza dover abbandonare la loro terra, tranne che per studio o addestramento per poi farvi ritorno, e non certo con la deportazione e la schiavitù, come già avvenuto secoli or sono e come si sta ripetendo ai nostri giorni, purtroppo, attraverso un meccanismo diabolico orchestrato da lobby potenti sulla pelle dei poveri.
Pensiamo a San Gaspare Bertoni, Fondatore degli Stimatini per la diffusione delle scuole cristiane; a San Giovanni Calabria, che ha fondato un Ordine religioso per dare dignità e lavoro ai poveri sia in Italia che nelle terre del Brasile e del sud America. Pensiamo a Santa Maddalena di Canossa che ha lasciato la nobiltà del suo palazzo per fondare un Istituto “Madri Canossiane” allo scopo di provvedere all’istruzione e protezione delle ragazze a quei tempi abbandonate e sfruttate. E così via per molti altri beati e santi che nella diocesi di Verona e grazie al sostegno dei Vescovi hanno trovato il terreno fertile per nuovi apostolati.
Vale la pena ricordare anche il servo di Dio, don Antonio Provolo che fu il primo nel lontano 1839 a escogitare sistemi all’avanguardia per l’insegnamento ai ragazzi sordomuti aprendo scuole specializzate e fondando una Congregazione religiosa per l’educazione di questi ragazzi, una benemerita fondazione alla quale va il pregio, l’onore e il merito di aver permesso a migliaia di giovani sordomuti di relazionarsi col mondo, di avere la gioia di capire e di essere capiti, di sorridere e di essere felici di vivere pur nella loro disabilità. Eppure quanto scandalo ha sollevato un episodio di 50 anni fa di cui neppure si ha certezza, a tal punto da infangare tutto l’Ordine! Ecco cosa riescono a fare i nemici di Dio, quelli che poi vanno negli asili a diffondere la teoria del gender, invitando alla pedofilia e alla prostituzione e gridando allo scandalo se anche un prete poi casca nelle loro reti luciferine.
C’è da chiarire, comunque, che per la dottrina della Chiesa la santità non viene dichiarata a motivo delle opere buone o delle fondazioni che un candidato compie, consacrato o laico che sia, ma per la sua fede profonda nel Signore Gesù che lo porta ad evangelizzare, e per le virtù eroiche che lui vive, tra le quali emerge la castità, che deve essere vissuta sia nel celibato che nel matrimonio, perché un conto sono eventuali tentazioni o cedimenti dei quali ci si deve pentire chiedendo perdono a Dio nella Confessione col proposito di fuggire le occasioni pericolose di peccato, altra cosa invece è uno “stato di peccato costante” che alcuni ormai considerano normale, soprattutto i cosiddetti “preti gay” che molti ritengono quasi una “aggiunta” al loro stato sacerdotale. Questo è un peccato gravissimo per tutti, maschi e femmine, laici o consacrati, che viene annoverato, nel catechismo della Chiesa cattolica, tra i “Quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: 1) Omicidio volontario, 2) peccato impuro contro natura, 3) oppressione dei poveri, 4) frode nel salario agli operai.
Altra figura di sacerdote veronese dei nostri giorni che sta emergendo sulla strada della santità è don Ferdinando Rancan, appartenente alla Prelatura dell’Opus Dei come sacerdote diocesano, passato alla gloria del cielo il 10 gennaio 2017, che non ha realizzato nessuna fondazione straordinaria, se non di diffondere quella che il Signore gli aveva fatto conoscere sin dal 1954, l’Opus Dei, ma che ha vissuto in maniera straordinaria, con vero amore, come voleva il Fondatore dell’Opus Dei, San Josemaria Escrivà, il ruolo affidatogli da Dio: cioè una vita da vero sacerdote diocesano, di quelli che si vedono in chiesa a pregare il breviario, a fare adorazione davanti al Tabernacolo, a celebrare anche più di una Messa al giorno, a curare la catechesi, le anime, i malati, sempre disponibile per confessioni, direzioni spirituali, aiuti di ogni genere anche ai bisognosi fatti con umiltà e solo per amor di Dio.
Sta di fatto che, mentre per i sacerdoti “mondani” di cui sopra, se ne parla fino alla nausea per creare scandalo, di altri sacerdoti in concetto di santità, come di don Ferdinando che avrebbe molto da insegnare soprattutto attraverso l’esempio della sua vita quasi roccambolesca di castità e di fedeltà eroica vissuta nel turbinio dei nostri giorni e non nell’ottocento, non se ne parla affatto, ma si è perfino cercato di metterlo a tacere, impedendo la pubblicazione del libro autobiografico “STORIA DI UN SOMARELLO” Sacerdote cattolico fino all’ultimo respiro. Pubblicazione che la prestigiosa casa editrice Cantagalli si era offerta di realizzare ma che è stato ostacolato proprio da coloro che avrebbero dovuto essere fieri e orgogliosi di avere un parente e un confratello di tale levatura spirituale e culturale da presentare al mondo: i suoi due nipoti e certi “zelanti” confratelli della Prelatura dell’Opus Dei. Costoro, nonostante la prefazione da parte di ben due Vescovi, Mons. Zenti di Verona e Mons. Negri, già Vescovo di Ferrara, e la testimonianza di un teologo che lo ha conosciuto da vicino, Mons. Gino Oliosi, lo hanno in pratica boicottato, se non fosse stato per l’impegno dei curatori del libro che hanno realizzato la stampa come “pro manuscripto” per ottemperare alla volontà del defunto che voleva fosse pubblicato post mortem.
Tralasciamo le motivazioni ufficiali dal sapore pretestuoso che sono state date, tali però da aver potuto bloccare la Casa editrice a norma di legge e poniamoci una domanda: “Come mai tanti ostacoli per la pubblicazione di un libro autobiografico pronto da anni, positivo e perfino edificante, libro che ha la prefazione di due Vescovi e di un teologo e che era atteso da tanta gente che ha conosciuto personalmente l’autore sperimentandone la santità di vita?”
La risposta che balza alla mente di molti si potrebbe riassumere così: in questo momento di grande confusione dottrinale, anche all’interno della Chiesa, la figura e l’opera di don Ferdinando Rancan potrebbe non risultare in linea con un pensiero corrente dominante che rovinosamente si sta facendo strada. Don Ferdinando, infatti, non è stato un prete battagliero o un confutatore di eresie, ma neppure si è lasciato incantare dalle sirene del “politicamente corretto”. È stato semplicemente un autentico e vero sacerdote, dotto, umile, provato nel corpo e nell’anima, di grandi virtù e di un’intensa vita di preghiera che, illuminato dallo Spirito Santo, ha saputo cogliere “i segni dei tempi”, mantenendosi sempre ancorato alle verità della Fede che non mutano con le mode del mondo.
Il suo sincero amore per la Chiesa e per il Papa (durante tutto l’arco della sua vita di novantenne ne conobbe ben otto, da Pio XI a Papa Francesco), lo portava a pregare molto per lui, con obbedienza filiale e con tutto il cuore, sapendo però ben distinguere innanzitutto il suo Magistero come “Vicario di Cristo”, da quella “azione pastorale” non vincolante per la coscienza del cristiano, soprattutto quando risulta non essere in piena sintonia con i principi del dogma e della morale stabiliti dal Magistero solenne della Chiesa.
La sua profonda umiltà, non quella falsa che cede a tutti i venti di tempesta, ma quella ben solida perché ancorata alla Parola di Dio e ai Sacramenti, è manifestata perfino dal titolo che lui stesso ha voluto dare al libro: “Storia di un somarello”, quel somarello che San Josemaria Escrivà, il Fondatore dell’Opus Dei, aveva preso come “modello” di virtù per tutti i suoi figli: esempio di umiltà ma anche di laboriosità, di tenacia ma anche di docilità alla volontà di Dio in mezzo alle prove della vita. La vita di molti Santi, come quella di padre Pio, è stata costellata da incomprensioni, spesso da parte dei loro stessi confratelli, ma prima o poi è il Signore stesso che si impegna a far luce. Raccomandiamoci alla sua intercessione.
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