Colgo l’occasione del terzo anniversario del passaggio
al cielo del nostro sacerdote diocesano veronese DON FERDINANDO RANCAN, per riproporvi,
aggiornata e completata, la sua mini-biografia che possa dare un’idea della sua
vita santa di sacerdote diocesano innamorato di Gesù Cristo e delle anime da salvare,
come si diceva una volta e come dovrebbe essere tuttora la realtà della Chiesa cattolica.
Si tratta di tre facciate che si possono anche
stampare e consegnare al momento opportuno a chi fosse interessato a conoscere
in sintesi, la sua vita, mentre consigliamo di approfondirne la spiritualità
attraverso i suoi libri e le sue omelie che stiamo via via trasmettendo su
link.
In fondo abbiamo inserito la: “preghiera per l’Italia e le nostre famiglie”, che don Ferdinando
ci esortava a recitare affidando a San Giuseppe, patrono della Chiesa, anche la
nostra patria, l’Italia, scelta per volontà di Dio come sede della Chiesa e del
Papato, e infine per le nostre famiglie, sull’esempio della famiglia di
Nazareth, nella consapevolezza che tutti questi “valori” fondamentali sono
bersagliati dal diavolo e pertanto devono essere protetti dalla forza
soprannaturale della nostra preghiera cristiana, fatta per lo più di Sante
Messe, Rosari, adorazioni e penitenza.
Attraverso gli scritti e le omelie di questo
sacerdote, si arriva a conoscere meglio la figura meravigliosa di GESU’ CRISTO,
VERO DIO E VERO UOMO, LA VERGINE MARIA, SAN GIUSEPPE, GLI ANGELI, I SANTI, in
pratica tutta la bellezza della nostra Fede cattolica che riempie il cuore di
gioia e di commozione nel vedere fino a quale punto Dio ci ama, tanto di averci
donato Suo Figlio Gesù per la nostra salvezza.
Gesù ha voluto perpetuare la sua presenza viva e vera
in mezzo a noi proprio attraverso l’Istituzione più meravigliosa e attualmente
più bersagliata dal demonio che è la “Chiesa Cattolica”, e il Sacerdozio, attraverso i quali ci
ha donato i “Sette Sacramenti” che sono “interventi” divini per il nutrimento
della nostra anima durante le tappe principali della nostra vita fatta di corpo
e di anima, e pertanto bisognosa sia di nutrimento materiale che di quello
spirituale.
Buona lettura e passa parola.
CENNO BIOGRAFICO SULLA VITA SANTA DI
DON FERDINANDO RANCAN
Venerdì
11 gennaio 2019, il Vescovo di Verona, S.e.r. Mons. Giuseppe Zenti, nel
bellissimo salone della Curia gremito di gente, chiamato “Sala dei Vescovi”
perché sono rappresentate nel controsoffitto le figure degli oltre 300 Vescovi
di Verona, al momento di iniziare la presentazione del libro autobiografico di
don Ferdinando Rancan “Un somarello e la
sua storia”, ha esordito dicendo: “Questo
salone prestigioso affrescato prima del 1500 viene di solito riservato per
eventi straordinari, e in effetti la vita di don Ferdinando Rancan è stata un
evento straordinario per tutta la diocesi”. Con questa premessa del Vescovo
e con le testimonianze di Mons. Ezio Falavegna, Vicario episcopale, di don
Ermanno Tubini, guida spirituale di don Ferdinando, e della signora Marisa
Bommartini, testimone della sua vita, è stato tracciato un breve profilo della
sua vita umile ma straordinaria: don Ferdinando non si è distinto per missioni
o locuzioni straordinarie, ma per essere stato un autentico sacerdote, saggio, dotto,
umile, provato nel corpo e nell’anima, di grandi virtù e disponibilità verso
tutti, frutti di una intensa vita spirituale che ha saputo cogliere “i segni
dei tempi” rimanendo sempre ancorato alle verità della Fede che non mutano con il
tempo.
Nato a Tregnago di Verona il 14 giugno 1926, entrò giovanissimo in
seminario ma, proprio alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, dopo anni
di stenti e di guerre, dovette superare una grande prova che lo vide inspiegabilmente
espulso dal seminario e “catapultato” a Roma dove proseguì gli studi presso
l’università “La Sapienza” laureandosi in Scienze Naturali. Nonostante questi
tre anni di forzato esilio, da solo in una città sconosciuta, mai gli sfiorò l’idea
di tradire il suo ideale sacerdotale perché era certo che prima o poi lo
avrebbe raggiunto. Era infatti un segno della volontà di Dio questa
inspiegabile estromissione perché proprio a Roma ebbe l’occasione di conoscere
il Fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà, arrivato in Italia da pochi anni,
e di chiederne l’ammissione come primo sacerdote diocesano d’Italia, diffondendo
poi la spiritualità dell’Opus Dei a Verona e nel Nord, non senza tribolazioni. Risolto
nel frattempo il “malinteso” col Vescovo e completati gli studi teologici, ricevette
l’Ordinazione Sacerdotale a Verona il 29 giugno 1953, dedicandosi
all’insegnamento nel Seminario diocesano e nei Licei della città, prima di
essere chiamato a svolgere il suo ministero sacerdotale nella parrocchia di S.
Nazaro, poi nella Pieve dei Santi Apostoli e infine nella chiesa di
Sant’Eufemia. Era noto in particolare come confessore e direttore
spirituale, a disposizione delle persone che uscivano da colloqui o confessioni
con lui sentendosi risollevati nell’anima e nel corpo.
La sua profonda umiltà, non quella falsa che cede ai venti di
tempesta, ma quella ben solida perché ancorata alla Parola di Dio e ai
Sacramenti, è manifestata perfino dal titolo che lui stesso ha voluto dare al
suo libro autobiografico “Un somarello e
la sua storia”, perché, sull’esempio di San Escrivà, tale si riteneva
davanti a Dio e agli uomini, mentre la sua vasta cultura si manifestava anche
attraverso quel dono soprannaturale della “Sapienza” che Dio concede ai suoi
servi fedeli, a coloro che intuiscono e vivono il valore profondo del dolore,
dell’umiliazione e della sofferenza per la salvezza delle anime in unione con Dio.
A conferma di questo, riportiamo un brano del libro citato, a pag. 226 che
narra un episodio particolare accadutogli da giovane, in Seminario, all’età di
20 anni circa: “Quando a sera i miei compagni si mettevano a
letto, io, approfittando della difficoltà a coricarmi secondo l’orario per
problemi allo stomaco, mi recavo in cappella fermandomi in ginocchio fino a
tardi davanti al Tabernacolo (…) Una sera, mentre mi recavo in cappella,
entrando nel corridoio completamente al buio, fui attratto da un tenue chiarore
che illuminava un’immagine collocata sopra la porta. Era l’immagine di Gesù che
teneva in mano, nell’atteggiamento di offrirlo, il suo cuore ferito e
sanguinante, circondato da spine, avvolto dalle fiamme e sormontato da una
croce. Il suo sguardo intenso e dolcissimo si incontrò col mio e subito mi
ricordai delle sue parole: “Ecco il cuore che ha tanto amato gli uomini e da
essi non riceve che ingiurie e indifferenza”. Quel tenue chiarore sul volto
luminoso di Gesù che accennava a un sorriso delicato e insieme severo mi lasciò
profondamente turbato e mi parve di intuire che senza dolore è difficile capire
l’amore. Così mi sentii spinto a chiedere con insistenza al Signore di soffrire
molto per poter vivere più profondamente l’intimità con lui. Forse fu
presunzione, forse superficialità o incoscienza, ma credo che il Signore abbia
accolto, almeno in parte, la mia preghiera, perché nella mia vita non ho mai
saputo cosa fosse il benessere fisico”.
Ma don Ferdinando dovette affrontare problemi di salute anche gravi sin
dalla nascita, legati soprattutto a difficoltà respiratorie eppure
mai lo si vide lamentarsi. In particolare si aggravarono le sue condizioni
fisiche verso i 52 anni, quando gli dovettero asportare il polmone sinistro infetto
da bronco-ectasie purulente, tanto da costringerlo negli ultimi dieci anni, dagli
80 ai 90, a usare il ventilatore polmonare di notte e la bombola dell’ossigeno
tutti i giorni. Tuttavia, questa precarietà della sua salute causata da
persistenti infezioni che minacciavano anche l’unico polmone rimasto, procurandogli
febbre alta e fibrillazione atriale che debilitavano tutto l’organismo e che i
medici curavano con dosi massicce di antibiotico o con ricoveri in rianimazione
nei momenti peggiori, mai gli impedì di svolgere il suo ministero sacerdotale a
pieno ritmo, seguendo la catechesi per ragazzi e adulti, organizzando pellegrinaggi
mariani, incontri di formazione per famiglie, occupandosi dei poveri e malati
della parrocchia, della formazione dei sacerdoti, oltre che della ristrutturazione
del complesso parrocchiale dei Santi Apostoli e trovando anche il tempo per
scrivere libri di formazione cristiana, dei quali il più bello sembra essere “IN
QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO” - Storia di Gesù narrata da un “bambino speciale”.
Il tutto con un ottimismo di fondo che si manifestava anche con battute
umoristiche e perfino ironiche. Era un sacerdote che, sia pur malato, amava la
vita e il mondo “appassionatamente” come è nella spiritualità di San Josemaria Escrivà.
Negli ultimi anni della sua vita, ci esortava a pregare molto per l’Italia e le
nostre famiglie, fortemente bersagliate dal diavolo, attraverso una preghiera
dedicata a S. Giuseppe, Patrono della Chiesa e perciò anche dell’Italia come
sede del papato.
Vero “Alter Christus”, trovò nel
Sacrificio Eucaristico quella forza soprannaturale che
sempre lo accompagnò anche nei momenti più difficili, tanto che era
inconcepibile per lui passare un giorno senza celebrare la Messa. Negli ultimi
anni, non potendo più andare in parrocchia, anche a motivo di una progressiva cecità,
celebrava la Messa in casa, sulla mensola di una libreria allestita a tale
scopo, ma quando veniva ricoverato, la celebrava perfino all’ospedale, sul
tavolino della stanza da letto, avendo sempre a disposizione una valigetta con
tutto l’occorrente. Perfino certe sere quando tornava a casa dopo una giornata
di analisi e visite mediche estenuanti, non si metteva a cena se non dopo aver
celebrato la Messa del giorno.
Era edificante vedere con quanta fede si inginocchiava fino a terra, durante la Consacrazione nella Messa, sostando in adorazione del divino Mistero Eucaristico. Ci ricordava che la Messa doveva essere, in un certo senso, un tutt’uno col sacerdote, perché sua prerogativa esclusiva, un privilegio così grande da far tremare Angeli e Santi dalla gioia pensando che solo ai Sacerdoti cattolici in virtù del Sacramento dell’Ordine Sacro, è stato concesso da Dio stesso “Il privilegio di portare Gesù vivo e vero dal Cielo alla terra”
Era edificante vedere con quanta fede si inginocchiava fino a terra, durante la Consacrazione nella Messa, sostando in adorazione del divino Mistero Eucaristico. Ci ricordava che la Messa doveva essere, in un certo senso, un tutt’uno col sacerdote, perché sua prerogativa esclusiva, un privilegio così grande da far tremare Angeli e Santi dalla gioia pensando che solo ai Sacerdoti cattolici in virtù del Sacramento dell’Ordine Sacro, è stato concesso da Dio stesso “Il privilegio di portare Gesù vivo e vero dal Cielo alla terra”
Valori da coma. L’ultimo giorno della sua vita, tra il 9 e il 10
gennaio 2017, quando fu ricoverato d’urgenza in Pronto Soccorso per l’aggravarsi
della situazione respiratoria, Silvia e io, che lo abbiamo accompagnato in
questo particolare momento assieme a suo nipote Gianni, rimanemmo sbalorditi
davanti a una frase pronunciata dal medico anestesista che veniva a controllare
la situazione. Egli uscì con queste testuali parole: “Noi medici (del reparto di pneumologia di Borgo Trento dove veniva
spesso ricoverato e che ringraziamo per le cure prestate), noi medici ci siamo chiesti più volte come abbia fatto quest’uomo a
vivere con valori da coma! (Si riferiva ai controlli periodici effettuati
tramite test digitale sui rapporti ossigeno, anidride, Ph ecc.). E davanti al
nostro sguardo allibito che chiedeva ulteriori spiegazioni, questi rimarcò con
maggiore sicurezza: “Si! È vissuto con
valori che per un uomo normale significano coma”. Vedendo l’aggravarsi
della situazione, chiamammo don Ermanno che venne a somministrargli il Sacramento
dell’Unzione dei malati benedicendolo con affetto prima di andarsene. Poco
dopo, don Ferdinando ebbe come un improvviso risveglio, che di solito viene
chiamato risveglio “ante mortem”, si mise a sedere sul letto, si guardò intorno
e la prima cosa che chiese fu questa: “Portatemi
a casa perché voglio dire la Messa!” Furono le sue ultime parole perché poi
entrò in coma profondo e si trovò a celebrare la Messa in Paradiso.
Più tardi, venne il medico ad avvisarci che dai controlli fatti gli
restavano poche ore di vita e che potevamo rimanere accanto a
lui fino al grande passaggio. Subito guardammo l’orologio che segnava le ore 17
circa del 9 gennaio e pensammo che forse il Signore lo avrebbe chiamato al
cielo lo stesso giorno della data di nascita del fondatore dell’Opus Dei, che
era proprio il 9 gennaio. Guardavamo con attenzione il passare delle ore: 19, 20,
21… e il suo respiro che continuava con fatica ma ancora ben deciso, mentre gli
tenevamo la mano pregando sottovoce San Giuseppe, patrono della buona morte.
Finché arrivarono le ore 23 e poi le 24, cioè la fine del giorno 9 gennaio. Silvia
e io notammo che, passate le ore 24, il suo respiro ebbe come un collasso
improvviso, divenne sempre più debole, fino a cessare del tutto un’ora dopo,
vale a dire all’UNA del 10 GENNAIO 2017. Capimmo senza bisogno di parole che don
Ferdinando, nella sua umiltà e delicatezza di vita, già in contatto col cielo, non
voleva far coincidere la data della sua morte di semplice sacerdote, con quella
della nascita del suo Santo Fondatore, autorità ben più grande per la Chiesa e Maestro
di vita spirituale. La data del 9 gennaio doveva rimanere tutta e solo per San Josemaria
Escrivà.
Che don Ferdinando ci protegga dal
cielo e aiuti tutti i cristiani, in particolare i sacerdoti, ad
essere fedeli alla propria vocazione, da consacrati o da laici. E non c’è altro
modo di rimanere fedeli alla propria vocazione se non AMANDO, perché il nostro
rapporto con il Dio cristiano è innanzitutto un rapporto personale di amore, di
paternità e di filiazione divina. E ci si innamora di Gesù, sull’esempio di don
Ferdinando, frequentandolo nell’Eucaristia quotidiana e nel Tabernacolo.
E mentre i malvagi si impegnano a fare propaganda ai loro modelli perversi, noi cristiani abbiamo il dovere di far conoscere con santo orgoglio i nostri “servi buoni e fedeli” chiedendo loro grazie e favori, ma soprattutto il dono della perseveranza finale.
E mentre i malvagi si impegnano a fare propaganda ai loro modelli perversi, noi cristiani abbiamo il dovere di far conoscere con santo orgoglio i nostri “servi buoni e fedeli” chiedendo loro grazie e favori, ma soprattutto il dono della perseveranza finale.
(a cura di Patrizia Stella)
Il libro “Un somarello e la sua
storia” euro 14,00= e altri libri di don Ferdinando si trovano presso la libreria
“L’isola del tesoro” in Verona, Via Marconi 60. Vedi online alla pagina https://fedecultura.com. Oppure tel.
347.3012846.
PREGHIERA PER L’ITALIA E LE NOSTRE FAMIGLIE
recitata e incoraggiata da don Ferdinando Rancan
sacerdote diocesano veronese
GLORIOSO SAN GIUSEPPE
sposo della Vergine
Maria, Madre di Gesù,
tu che sei Patrono
della Chiesa universale,
ascolta le suppliche
che ti rivolgiamo
in quest’ora di
confusione e di decadimento:
proteggi l’Italia e tutte le nostre famiglie.
Quell’Italia scelta con
predilezione da Cristo
per collocarvi la Sede
del Suo Vicario, il Papa,
quell’Italia
disseminata dei Santuari
della Vergine Maria, e
forgiata dai Santi.
Ottienici, con la tua
potente intercessione,
unita a quella della
tua Santissima Sposa,
uomini nuovi,
che abbiano il coraggio
di abrogare
le inique leggi contro
Dio e contro l’uomo.
Fa’ che la nostra
Patria
possa continuare ad
essere
centro vivo di civiltà
cristiana,
faro di luce in tutto
il mondo,
terra di Santi per la
gloria di Dio
e per la salvezza di
tutti gli uomini
Gesù,
Giuseppe e Maria,
salvate Chiesa
e Italia, e la famiglia mia.
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