Cari amici,
Rinnegare Gesù
Cristo. Ecco dove si vuole o si rischia di parare con queste premesse o
discussioni assurde. Fino a quando Gesù starai zitto a continuare a farti
insultare da chi dovrebbe invece adorarti?
Buona riflessione.
Gesù sapeva scrivere?
(A proposito di un’intervista
al cardinale Ravasi)
By
Aldo Maria Valli
Sul Corriere
della sera di ieri, 10 novembre 2020, c’era una
lunghissima e dottissima intervista (a cura di Walter Veltroni) al cardinale
Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura. Il
colloquio verte sulla solitudine conseguente al lockdown e
sull’importanza della meditazione. Ma se la conclusione delle meditazioni fatte
durante il lockdown da sua eminenza sono quelle conclusive, e cioè che
probabilmente Gesù non sapeva scrivere e che, se oggi dovesse scrivere
qualcosa, scriverebbe di amare il prossimo, ma anche la terra come se stesso,
restiamo un po’ perplessi.
L’erudizione del cardinale e il piacere che prova a
manifestarla sono noti. Stavolta per parlarci della scoperta della meditazione
fa ben dieci citazioni, tutte, per carità, interessanti e pertinenti. Ma dieci!
Incomincia con una citazione da La peste dello
scrittore francese ateo e anarchico Albert Camus, passa poi al filosofo
neo-razionalista Norberto Bobbio, salta al sociologo e massimo esperto
dell’impatto della comunicazione sulla società Marshall McLuhan, cita lo
scrittore ed entomologo Vladimir Nabokov (autore di Lolita),
parla poi del compositore brasiliano Vinicius de Moraes (citato da papa
Bergoglio in Fratelli tutti) che amava così tanto la famiglia da sposarsi ben
nove volte, cita l’immancabile Blaise Pascal e riferisce persino del filosofo
americano John Searle, famoso sia per le sue critiche circa l’intelligenza
artificiale sia per esser stato privato del titolo di professore emerito
all’Università di Berkeley per molestie sessuali. Ma non basta. Sua eminenza
continua citando Charles Peguy, scrittore francese convertitosi al
cattolicesimo ma ostile all’autoritarismo della Chiesa, cita letture del grande
filologo Giorgio Pasquali e parla della sua amicizia con il poeta Mario Luzi.
Siamo arrivati a dieci citazioni e abbiamo fatto
fatica a seguirlo. Ma ecco che alla domanda finale, e cioè se Gesù ha mai
scritto qualcosa (a parte le famose parole tracciate sulla sabbia nell’episodio
dell’adultera), il cardinale risponde: «Noi non sappiamo neppure se Gesù
sapesse scrivere, qualche esegeta ha immaginato che sulla sabbia abbia
tracciato solo segni… Ma se Gesù tornasse scriverebbe “Ama il prossimo tuo come
te stesso”. Ama anche la terra come te stesso, potremmo aggiungere oggi».
Tutto qui?
Sentite che cosa disse invece in proposito un
intellettuale cattolico come Nello Vian, la persona più vicina per tutta la
vita a Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI.
Vian, che fu responsabile della
Biblioteca Vaticana per ventotto anni e poi segretario generale dell’Istituto
Paolo VI, nel libro Il cardinale che sapeva leggere. Storie di
libri e scrittori, scrisse (e apprezzate la ricchezza
spirituale espressa in queste poche frasi): «Pur predicando, operando,
disseminando i miracoli, Gesù avrebbe potuto affidare al papiro i punti
essenziali della sua dottrina, lasciare una raccolta scritta dei suoi pensieri.
Scrivere non è altro che una forma d’azione. Gesù non l’ha fatto: non ha
scritto che una volta sola, ma sulla sabbia (e il senso del gesto, qualunque ne
sia l’interpretazione, rimane chiaramente simbolico nel contesto del fatto: la
traduzione davanti a lui della donna adultera). Si sarebbe quasi tentati di
dire che il carattere della sua missione gl’interdiceva l’attività d’autore,
perché egli fosse esclusivamente un’autorità. Cristo non ha voluto che gli
uomini fossero conquistati più dalla sua opera scritta che dalla sua persona,
come avviene per l’eredità letteraria lasciata da uno scrittore.
L’opera di Platone importa più che
Platone, ma di Socrate che non ha scritto attira unicamente la sua persona.
Gesù non ha voluto che tra lui e i discepoli si ponesse lo schermo, anche
trasparente, dell’opera scritta. Fedele al metodo dell’insegnamento orale
tradizionale del suo popolo, e del quale anche Platone nel capitolo 61 del
Fedro notava la superiorità, egli ha gettato il seme della sua dottrina non
sulla carta, ma in spiriti e cuori vivi, dove il suo amore lo avrebbe fatto
germogliare e fruttificare. Questa prima ragione non è la sola che possa fare
intendere perché Gesù non ha scritto.
Egli non era un filosofo che dopo anni
di riflessione proponga una bella teoria: era la giustizia, la verità, la
potenza viventi, “VIA, VERITA’E VITA”. Era il Profeta, potente non solo in
parole, ma anche, e più ancora, in opere: sulla materia e lo spirito, sui corpi
che guariva e le anime che convertiva. Non si limitava a insegnare, poiché alle
grandi lezioni univa gli atti portentosi. La
sua vita era il dogma in atto. Ogni suo comportamento, il minimo dei suoi
gesti era un segno, un simbolo del divino. Spettava ai discepoli testimoniare
la gloria del Maestro, narrare le sue grandi opere, e a un tempo esprimere
l’impressione che essi per primi ne avevano ricevuta. In altri termini, erano i
discepoli che dovevano scrivere, consegnare alla carta questa storia».
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