TESTIMONIANZA DI ERMENEGILDO DAL BOSCO
Sul
libro
UN
SOMARELLO E LA SUA STORIA
di don
Ferdinando Rancan
Sono Ermenegildo Dal Bosco,
veronese settantunenne, laureato in chimica pura, titolo che mi ha permesso di
lavorare per dieci anni per la Magneti
Marelli società del gruppo FIAT.
Nel 1980 mi sono felicemente
sposato con Claudia laureata in Scienze Biologiche ed insegnante di matematica
e scienze presso varie scuole medie private e pubbliche. Dal 1986 per ragioni
famigliari ho cambiato professione: sono diventato anch’io docente di
matematica e scienze presso L’Istituto salesiano “Don Bosco “ di Verona per
altri vent’anni. Attualmente siamo entrambi in pensione. Abbiamo avuto quattro figli: uno è sacerdote
diocesano e parroco e le altre tre sono tutte laureate in discipline diverse ed
esercitano le rispettive professioni.
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Conobbi don Ferdinando in
Seminario durante l’anno scolastico 1967/68 come professore di Scienze in 2^
liceo. Di quel periodo non conservo ricordi particolari: era un professore
cordiale, non autoritario...
Poi lo persi di vista fino
agli inizi del 2020 quando mi fu regalato il suo libro autobiografico “ Un
somarello e la sua storia” da un amico che mi disse: “E’ la storia di sacerdote
veronese straordinario, morto da pochi anni, che moltissimi, non solo veronesi,
stimano santo; se lo leggi ti renderai conto”.
Come notai sulla copertina il
nome dell’autore “Don Ferdinando Rancan” esclamai: “Ah, lo conosco! E’ mio valligiano
e l’ho avuto come insegnante al Liceo!”
La lettura del libro mi
conquistò fin dalle prime pagine: sentendo nominare Tregnago, suo luogo di
nascita, mi sentii idealmente trasportato in alta Val d’ Illasi fino alla mia
cara Giazza (capitale dei Cimbri ) dove sono nato e cresciuto fino
all’adolescenza. Per noi Tregnago era allora considerato il capoluogo della
zona: a Tregnago c’erano l’ospedale, il notaio, le Poste, il trenino, il
cementificio, il castello, varie ville signorili ed il ristorante “Michelin”.
Leggendo quindi mi sembrava di volare sulle contrade, i pendii, i prati, i
boschi, il progno, le Chiese, i cimiteri… i luoghi della mia terra
natia.
Un capitolo poi che mi
impressionò visceralmente fu quello della tragica morte di suo padre sul posto
di lavoro (1928): rimase orfano a meno di due anni! Questo ci rendeva simili
perché anch’io, a soli sette mesi, persi mio papà per conseguenze di guerra.
Proseguendo nella lettura fui
impressionato dalla precarietà di salute fin da piccolo, che lo obbligò a stare
lontano dai propri famigliari per lunghi periodi con grandi sue sofferenze.
Ciononostante, fui
meravigliato di come riuscì a compiere in bicicletta, nel periodo dei suoi
studi universitari a Roma, il rocambolesco percorso Roma-Verona e
successivamente varie escursioni su ardite montagne delle Alpi svizzere,
tirolesi ed austriache.
Proseguendo fino al termine
della lettura con il mio solito metodo non frettoloso ma cadenzato ed
intervallato, ho maturato alcune convinzioni relative a Don Ferdinando, in
qualità di uomo e di sacerdote, che mi permetto di esporre sinteticamente.
Anzitutto ho apprezzato la sua
spiccata “vèrve” poetica ed il suo narrare elegante, fluente, empatico che
rivelano una profonda sensibilità umana con accenti talvolta squisitamente
materni. Nonostante per tutta la vita sia stato tormentato da problemi di
salute si è dimostrato coraggioso ed intraprendente; non si è arreso di fronte
a difficoltà, critiche ed opposizioni anche violente.
Qui faccio riferimento
soprattutto a quell’evento straordinario molto doloroso e per lui umiliante che
mi ha colpito profondamente e che non conoscevo, cioè di vedersi espulso
all’improvviso dal Seminario, nel 1949, alla distanza di un anno
dall’ordinazione sacerdotale, per un malinteso sorto con il Vescovo, mons.
Girolamo Cardinale, incomprensione che si è risolta positivamente, ma dopo la
bellezza di quattro anni di lunga e fiduciosa attesa, grazie all’eroica fortezza
e visione soprannaturale da parte del nostro seminarista che mai perse di vista
la consapevolezza di sentirsi guidato dalla mano paterna di Dio, oltre che
l’interiore certezza che sarebbe stato ordinato sacerdote proprio da quel
Vescovo che lo aveva espulso in modo così misterioso. Come poi avvenne, il 29
giugno 1953.
Questo fatto inspiegabile
della sua espulsione violenta dal seminario in modo si potrebbe dire
traumatico, si rivelò poi un autentico disegno della provvidenza di Dio su don
Ferdinando, perché il Rettore del Seminario, mons. Pietro Albrigi, che lo
stimava molto, pensò di mandarlo a Roma, ospite dell’istituto “don Calabria”, a
proseguire gli studi universitari nell’attesa dello sviluppo degli eventi. E fu
proprio a Roma che venne in contatto con l’Opus Dei, che allora segnava i suoi
primi passi in terra italiana e con il suo Fondatore, San Josemaria Escrivà, al
quale, ovviamente dopo i necessari contatti con i responsabili, don Ferdinando presentò
la domanda di ammissione.
Siamo infatti negli anni 1952/53
quando nessuno conosceva ancora l’Opus Dei in Italia o solo pochi a Roma e a
Milano, e il fatto che un umilissimo, anche se coltissimo sacerdote veronese di
campagna fosse stato scelto da Dio per essere “catapultato” nientemeno che a
Roma, attraverso vicende così eccezionali, ha dell’incredibile. In effetti fu
proprio don Ferdinando a far conoscere la spiritualità dell’Opus Dei a Verona e
nel Nord-Est, diciamo così, tanto che qui in zona è conosciuto certamente come
sacerdote diocesano esemplare, ma soprattutto come “quello che ha portato
l’Opus Dei a Verona” e pertanto credo che a buon titolo possa essere definito
“cofondatore” in quanto primo sacerdote diocesano che ha aderito come
“aggregato” alla spiritualità dell’Opus Dei in Italia.
Quando, leggendo il libro, con
grande soddisfazione venni a sapere del suo strettissimo legame con mons
Escrivà mi si spalancò un panorama incantevole: anch’io ero stato affascinato
dal carisma dell’Opus Dei: il “padre”, come usava chiamarlo don Ferdinando, si
può considerare, ne sono pienamente convinto, l’ispiratore o il precursore di
tutti i documenti conciliari e postconciliari riguardanti il cammino di santità
specifico dei laici cristiani.
Mi tornò in mente quanto avevo
meditato studiando la costituzione dogmatica “Lumen Gentium”, Il decreto “Apostolicam
Actuositatem”, la dichiarazione “Gravissimum Educationis”. Trovai ulteriori conferme
nel “Catechismo della C.C.”, nell’esortazione apostolica “Christi Fideles laici”
(1994) di Papa San G. Paolo II° ed infine, nel suo illuminante “Compendio della
Dottrina sociale della Chiesa” (2004).
Mi domando quindi: “Quale grande riconoscenza
dobbiamo avere verso don Ferdinando per aver trapiantato l’Opus Dei nel nostro
Triveneto?”
Nel suo lungo periodo di
apostolato sacerdotale non ha mai espresso giudizi sprezzanti o di astiosa
condanna su persone o realtà varie dimostrando eccellente equilibrio, fede e
lungimiranza. Confidando sempre nella Provvidenza di Dio e nella protezione
della Madonna è riuscito a realizzare mirabili opere di natura sia spirituale
che civile come, ad esempio, la ristrutturazione, senza lasciare debiti, della
chiesa e di quasi tutto il complesso circostante la Parrocchia dei Santi
Apostoli: sacrestia, canonica con appartamentini riservati ai sacerdoti, aule
catechismo, asilo dei bambini, sala giochi, biblioteca, cortili ecc.
Inoltre, avendo io
personalmente studiato con diligenza tutti i documenti del Concilio Vaticano
II° come pure i vari articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), mi è
parso, durante la lettura dell’autobiografia, che don Ferdinando, nel suo lungo
ministero sacerdotale, fosse sempre stato pienamente “ortodosso” cioè in
sintonia con il Magistero perenne della Chiesa Cattolica.
In conclusione ho maturato la
convinzione che Don Ferdinando potrebbe degnamente essere annoverato fra i grandi
sacerdoti veronesi quali don Baldo, don Nascimbeni, don Calabria, …. perché ne ha dimostrato la medesima statura,
anche se diverso carisma e spiritualità.
In fede
Ermenegildo
Dal Bosco
Mi permetto di suggerire la
lettura di questo suo libro autobiografico non solo per la ricchezza di contenuti espressi in modo simpatico e avvincente, ma soprattutto perché
potrebbe costituire un punto di riferimento, un vero “modello” di vita ascetica,
soprattutto per i sacerdoti ma anche per i laici che vogliono vivere una
particolare spiritualità di comunione con Dio nel mondo, vissuta nella fedeltà anche
davanti a grandi prove che forse il Signore permette per farci crescere nella
Fede e nell’abbandono in Lui.
Ferdinando Rancan, “Un somarello e la
sua storia” a cura di Ermanno Tubini, pag. 290, euro 14,00
Si può acquistare chiedendo alla
libreria di Fede e Cultura, Verona tel.
045/941851
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