In questi tempi di turbolenza generale dove ci piovono
sconvolgenti notizie a raffica, il cristiano è consapevole che “l’arma”
vincente nelle sue mani consiste nella preghiera cristiana, rivolta soprattutto
a Gesù attraverso la SANTA MESSA, alla Madonna col Rosario, e poi agli Angeli,
ai Santi, alle anime del Purgatorio e a tutti i nostri defunti, soprattutto nei
confronti di coloro che si sono distinti per particolari virtù umane in vita e sono
avviati sul cammino della eventuale beatificazione.
Tra questi candidati alla santità, abbiamo anche la figura
di un sacerdote diocesano veronese, DON FERDINANDO RANCAN, che molti hanno
conosciuto personalmente, passato al cielo il 10 gennaio 2017, all’età di 90
anni, distintosi non per particolari fondazioni, o visioni, o fatti eclatanti,
ma per aver vissuto con fedeltà eroica tutta la sua vita, in particolare il suo
ministero sacerdotale a disposizione di tutti, pur nella costante sofferenza
fisica accettata serenamente per amor di Dio.
In sua memoria celebriamo una Santa Messa nel giorno del
quinto anniversario del suo passaggio al cielo, LUNEDI’ 10 GENNAIO, ORE 19,00
PRESSO LA CHIESA DI SANTA EUFEMIA (vicino al ponte Vittoria) dove ha svolto il
suo ministero negli ultimi 10 anni della sua vita come collaboratore del
parroco, don Valentino Guglielmi, defunto nel 2012, che pure ricordiamo con
gratitudine nella nostra preghiera.
Siamo tutti invitati a questa celebrazione nella convinzione
che nessuna preghiera o grazia per qualunque nostra necessità che chiederemo a
questi candidati alla santità, in particolare se sacerdoti, verrà
trascurata. E’ solo questione di fede da
parte nostra.
In allegato troverete un breve profilo biografico sulla vita
di don Ferdinando che potete diffondere liberamente. Grazie.
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P.S. Per chi non lo sapesse, io mi sento moralmente
spinta a far conoscere la sua Persona in quanto ho avuto l’immeritato onore di
assisterlo, per volontà di Dio, nei suoi ultimi 13 anni di vita abbastanza
sofferti a motivo di gravi problemi respiratori. Mi sembra un compito che il
Signore vuole che io porti avanti anche dopo il suo passaggio al cielo. Che Dio mi aiuti.
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PROFILO BIOGRAFICO SULLA VITA SANTA DI
DON FERDINANDO RANCAN
Venerdì
11 gennaio 2019, il Vescovo di Verona, S.e.r. Mons. Giuseppe Zenti, nel
bellissimo salone della Curia gremito di gente, chiamato “Sala dei Vescovi”
perché sono rappresentate nel controsoffitto le figure degli oltre 300 Vescovi
di Verona, al momento di iniziare la presentazione del libro autobiografico di
don Ferdinando Rancan “Un somarello e la
sua storia”, ha esordito dicendo: “Questo
salone prestigioso affrescato prima del 1500 viene di solito riservato per
eventi straordinari, e in effetti la vita di don Ferdinando Rancan è stata un
evento straordinario per tutta la diocesi”. Con questa premessa del Vescovo
e con le testimonianze di Mons. Ezio Falavegna, Vicario episcopale, di don
Ermanno Tubini, guida spirituale di don Ferdinando, e della signora Marisa
Bommartini, testimone della sua vita, è stato tracciato un breve profilo della
sua vita umile ma straordinaria: don Ferdinando non si è distinto per missioni
o locuzioni straordinarie, ma per essere stato un autentico sacerdote, saggio, dotto,
umile, provato nel corpo e nell’anima, di grandi virtù e disponibilità verso
tutti, frutti di una intensa vita spirituale che ha saputo cogliere “i segni
dei tempi” rimanendo sempre ancorato alle verità della Fede che non mutano con il
tempo.
Nato a Tregnago di Verona il 14 giugno 1926, entrò giovanissimo in
seminario ma, proprio alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, dopo anni
di stenti e di guerre, dovette superare una grande prova che lo vide inspiegabilmente
espulso dal seminario e “catapultato” a Roma dove proseguì gli studi presso
l’università “La Sapienza” laureandosi in Scienze Naturali. Nonostante questi
tre anni di forzato esilio, da solo in una città sconosciuta, mai gli sfiorò
l’idea di tradire il suo ideale sacerdotale perché era certo che prima o poi lo
avrebbe raggiunto. Era infatti un segno della volontà di Dio questa
inspiegabile estromissione perché proprio a Roma ebbe l’occasione di conoscere
il Fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà, arrivato in Italia da pochi anni,
e di chiederne l’ammissione come primo sacerdote diocesano d’Italia, diffondendo
poi la spiritualità dell’Opus Dei a Verona e nel Nord, non senza tribolazioni. Risolto
nel frattempo il “malinteso” col Vescovo e completati gli studi teologici, ricevette
l’Ordinazione Sacerdotale a Verona il 29 giugno 1953, dedicandosi
all’insegnamento nel Seminario diocesano e nei Licei della città, prima di
essere chiamato a svolgere il suo ministero sacerdotale nella parrocchia di S.
Nazaro, poi nella Pieve dei Santi Apostoli e infine nella chiesa di
Sant’Eufemia. Era noto in particolare come confessore e direttore
spirituale, a disposizione delle persone che uscivano da colloqui o confessioni
con lui sentendosi risollevati nell’anima e nel corpo.
La sua profonda umiltà, non quella falsa che cede ai venti di
tempesta, ma quella ben solida perché ancorata alla Parola di Dio e ai
Sacramenti, è manifestata perfino dal titolo che lui stesso ha voluto dare al
suo libro autobiografico “Un somarello e
la sua storia”, perché, sull’esempio di San Escrivà, tale si riteneva
davanti a Dio e agli uomini, mentre la sua vasta cultura si manifestava anche
attraverso quel dono soprannaturale della “Sapienza” che Dio concede ai suoi
servi fedeli, a coloro che intuiscono e vivono il valore profondo del dolore,
dell’umiliazione e della sofferenza per la salvezza delle anime in unione con Dio.
A conferma di questo, riportiamo un
brano del libro citato, a pag. 226 che narra un episodio particolare
accadutogli da giovane, in Seminario, all’età di 20 anni circa: “Quando a sera i miei compagni si mettevano a letto, io, approfittando
della difficoltà a coricarmi secondo l’orario per problemi allo stomaco, mi
recavo in cappella fermandomi in ginocchio fino a tardi davanti al Tabernacolo
(…) Una sera, mentre mi recavo in cappella, entrando nel corridoio completamente
al buio, fui attratto da un tenue chiarore che illuminava un’immagine collocata
sopra la porta. Era l’immagine di Gesù che teneva in mano, nell’atteggiamento di
offrirlo, il suo cuore ferito e sanguinante, circondato da spine, avvolto dalle
fiamme e sormontato da una croce. Il suo sguardo intenso e dolcissimo si
incontrò col mio e subito mi ricordai delle sue parole: “Ecco il cuore che ha
tanto amato gli uomini e da essi non riceve che ingiurie e indifferenza”. Quel
tenue chiarore sul volto luminoso di Gesù che accennava a un sorriso delicato e
insieme severo mi lasciò profondamente turbato e mi parve di intuire che senza
dolore è difficile capire l’amore. Così mi sentii spinto a chiedere con
insistenza al Signore di soffrire molto per poter vivere più profondamente
l’intimità con lui. Forse fu presunzione, forse superficialità o incoscienza,
ma credo che il Signore abbia accolto, almeno in parte, la mia preghiera,
perché nella mia vita non ho mai saputo cosa fosse il benessere fisico”.
Ma don Ferdinando dovette affrontare problemi di salute anche gravi sin
dalla nascita, legati soprattutto a difficoltà respiratorie eppure
mai lo si vide lamentarsi. In particolare si aggravarono le sue condizioni
fisiche verso i 52 anni, quando gli dovettero asportare il polmone sinistro infetto
da bronco-ectasie purulente, tanto da costringerlo negli ultimi dieci anni, dagli
80 ai 90, a usare il ventilatore polmonare di notte e la bombola dell’ossigeno
tutti i giorni. Tuttavia, questa precarietà della sua salute causata da
persistenti infezioni che minacciavano anche l’unico polmone rimasto, procurandogli
febbre alta e fibrillazione atriale che debilitavano tutto l’organismo e che i
medici curavano con dosi massicce di antibiotico o con ricoveri in rianimazione
nei momenti peggiori, mai gli impedì di svolgere il suo ministero sacerdotale a
pieno ritmo, seguendo la catechesi per ragazzi e adulti, organizzando pellegrinaggi
mariani, incontri di formazione per famiglie, occupandosi dei poveri e malati
della parrocchia, della formazione dei sacerdoti, oltre che della ristrutturazione
del complesso parrocchiale dei Santi Apostoli e trovando anche il tempo per
scrivere libri di formazione cristiana, dei quali il più bello sembra essere “IN QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO” - Storia di
Gesù narrata da un “bambino speciale”. Il tutto con un ottimismo di fondo
che si manifestava anche con battute umoristiche e perfino ironiche. Era un
sacerdote che, sia pur malato, amava la vita e il mondo “appassionatamente”
come è nella spiritualità di San Josemaria Escrivà. Negli ultimi anni della sua
vita, ci esortava a pregare molto per l’Italia e le nostre famiglie, fortemente
bersagliate dal diavolo, attraverso una preghiera dedicata a S. Giuseppe,
Patrono della Chiesa e perciò anche dell’Italia come sede del papato.
Vero “Alter Christus”, trovò nel
Sacrificio Eucaristico quella forza soprannaturale che
sempre lo accompagnò anche nei momenti più difficili, tanto che era
inconcepibile per lui passare un giorno senza celebrare la Messa. Negli ultimi
anni, non potendo più andare in parrocchia, anche a motivo di una progressiva cecità,
celebrava la Messa in casa, sulla mensola di una libreria allestita a tale scopo,
ma quando veniva ricoverato, la celebrava perfino all’ospedale, sul tavolino
della stanza da letto, avendo sempre a disposizione una valigetta con tutto
l’occorrente. Perfino certe sere quando tornava a casa dopo una giornata di
analisi e visite mediche estenuanti, non si metteva a cena se non dopo aver
celebrato la Messa del giorno. Era edificante vedere con quanta fede si
inginocchiava fino a terra, durante la Consacrazione nella Messa, sostando in
adorazione del divino Mistero Eucaristico. Sosteneva che la Messa doveva
essere, in un certo senso, un tutt’uno col sacerdote, perché sua prerogativa
esclusiva, un privilegio così grande da far tremare Angeli e Santi dalla gioia
pensando che solo ai Sacerdoti cattolici in virtù del Sacramento dell’Ordine
Sacro, è stato concesso da Dio stesso “Il
privilegio di portare Gesù vivo e vero dal Cielo alla terra”
Valori da coma. L’ultimo giorno della sua vita, tra il 9 e il 10
gennaio 2017, quando lo abbiamo accompagnato d’urgenza al Pronto Soccorso per
l’aggravarsi della situazione respiratoria, rimanemmo sbalorditi davanti a una
frase pronunciata dal medico anestesista che veniva a controllare la
situazione. Egli uscì con queste testuali parole: “Noi medici (del reparto di pneumologia di Borgo Trento dove veniva
spesso ricoverato e che ringraziamo per le cure prestate), noi medici ci siamo chiesti più volte come abbia fatto quest’uomo a
vivere con valori da coma! (Si riferiva ai controlli periodici effettuati
tramite test digitale sui rapporti ossigeno, anidride, Ph ecc.). E davanti al
nostro sguardo allibito che chiedeva ulteriori spiegazioni, questi rimarcò con
maggiore sicurezza: “Si! È vissuto con
valori che per un uomo normale significano coma”. Vedendo l’aggravarsi
della situazione, chiamammo don Ermanno che venne a somministrargli il Sacramento
dell’Unzione dei malati benedicendolo con affetto prima di andarsene. Poco
dopo, don Ferdinando ebbe come un improvviso risveglio, che di solito viene
chiamato risveglio “ante mortem”, si mise a sedere sul letto, si guardò intorno
e la prima cosa che chiese fu questa: “Portatemi
a casa perché voglio dire la Messa!” Furono le sue ultime parole, il suo
pensiero costante e dominante “celebrare la Messa”, perché poi entrò in coma profondo
e si trovò a celebrare la Messa in Paradiso.
Più tardi, venne il medico ad avvisarci che dai controlli fatti gli
restavano poche ore di vita e che potevamo rimanere accanto a
lui fino al grande passaggio. Subito guardammo l’orologio che segnava le ore 17
circa del 9 gennaio e pensammo che forse il Signore lo avrebbe chiamato al
cielo lo stesso giorno della data di nascita del fondatore dell’Opus Dei, che
era proprio il 9 gennaio. Guardavamo con attenzione il passare delle ore: 19, 20,
21… e il suo respiro che continuava con fatica ma ancora ben deciso, mentre gli
tenevamo la mano pregando sottovoce San Giuseppe, patrono della buona morte.
Finché arrivarono le ore 23 e poi le 24, cioè la fine del giorno 9 gennaio. Appena
passate le ore 24, Silvia e io notammo che il suo respiro ebbe come un collasso
improvviso, divenne sempre più debole, fino a cessare del tutto un’ora dopo,
vale a dire all’UNA del 10 GENNAIO 2017. Capimmo senza bisogno di parole che don
Ferdinando, nella sua umiltà e delicatezza di vita, già in contatto col cielo, non
voleva far coincidere la data della sua morte di semplice sacerdote, con quella
della nascita del suo Santo Fondatore, autorità ben più grande per la Chiesa e Maestro
di vita spirituale. La data del 9 gennaio doveva rimanere tutta e solo per San Josemaria
Escrivà.
Che don Ferdinando ci protegga dal
cielo e aiuti tutti i cristiani, in particolare i sacerdoti, ad essere fedeli alla propria vocazione, nonostante
tentazioni e persecuzioni, perché se Gesù stesso ha voluto legare questa
speciale chiamata a un Sacramento “l’Ordine Sacro”, conferendogli addirittura
un “carattere” indelebile, cioè permanente, “vita natural durante”, significa
che il “il sacerdote cattolico”, nonostante le sue miserie, è l’unico uomo al
mondo che ha il potere, per volontà divina, di mettere in comunicazione la
terra col Cielo, l’uomo con il suo Dio, a tal punto da rendere possibili quelle
parole di Gesù: “IO SARO’ CON VOI TUTTI I GIORNI FINO ALLA FINE DEL MONDO.”
A
CURA DI PATRIZIA STELLA
Il libro “Un somarello e la sua storia” a cura di don
Ermanno Tubini, euro 14,00= pag. 290, e altri libri di don Ferdinando si trovano
presso la libreria “L’isola del tesoro”, casa editrice Fede & Cultura, in
Verona, Via Marconi 60. Tel. 045/941851 che li invia direttamente a
domicilio. Vedi online https://fedecultura.com.
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