GIOVEDI’ SANTO
ISTITUZIONE DELLA SANTA EUCARISTIA E DEL
SACERDOZIO
Brani da “La moneta del tempo”
di Ferdinando Rancan
Gli ultimi tre giorni della settimana - il giovedì, il venerdì, il sabato - sono legati alla Liturgia del Triduo Pasquale; essa ha orientato la pietà cristiana verso il ricordo e la meditazione sulla vita di Gesù nei dolorosi avvenimenti che si sono compiuti in quei giorni, e che furono causa della nostra salvezza.
Innanzitutto il giovedì viene
ricordato come "feria quinta in Coena Domini",
il giovedì nella Cena del Signore. Quello che Gesù ha compiuto in quella sera
durante la Cena pasquale rimane un gesto fondamentale nella storia
dell'umanità. Istituendo l'Eucaristia e il Sacerdozio, Gesù ha voluto che fosse
possibile ad ogni uomo incontrare la salvezza. Forse per questo quel giovedì fu
il giorno più atteso dal Signore, il più desiderato dal suo cuore: “Ho desiderato ardentemente di mangiare
questa Pasqua con voi, prima della mia passione...". Desiderio ardente
che era amore, l'amore di colui che, “avendo
amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. E l'Eucaristia è precisamente questo: la
prova suprema dell'amore di Cristo per noi. L'amore non poteva inventare una
cosa più grande, non poteva trovare un modo più efficace e radicale per
donarsi.
Celebrare e vivere l'Eucaristia è qualificante per il cristiano; vale a dire che non c'è una vita cristiana vera e autentica senza l'Eucaristia.
Ciò
che identifica il cristiano non è la preghiera - in tutte le religioni si prega
- non sono le altre espressioni della religiosità: pellegrinaggi, sacrifici,
voti o processioni, non è nemmeno l'esercizio delle virtù morali: la giustizia,
la lealtà, l'onore, il rispetto, la fedeltà, l'onestà; tutto questo fa di una
persona un uomo pio, un uomo onesto, un uomo d'onore, ma non ancora un
cristiano, anche se tutte queste virtù con gli altri valori umani che ne
derivano formano un presupposto indispensabile e insieme sono conseguenza di
un'autentica vita cristiana.
Abbiamo ripetuto più volte che la vita cristiana è la vita di Cristo in noi. Ora, Gesù è stato esplicito: “Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avrete in voi la vita (...) Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”.
Questa dunque è l'identità del
cristiano: essere un altro Cristo. E questa identità si esprime, si realizza e
si manifesta nella partecipazione al mistero eucaristico.
L'EUCARISTIA SI PRESENTA SOTTO UN TRIPLICE ASPETTO: È MISTERO, È SACRIFICIO, È SACRAMENTO.
Per mistero s’intende una
presenza particolare e insieme nascosta di Dio nella storia umana; in ogni caso
è sempre una presenza salvifica. Ebbene, nell’Eucaristia come “mistero” si ha
la presenza di Cristo redentore nei "segni" sacramentali del pane e
del vino. E' una presenza reale non simbolica, una presenza vera non apparente,
una presenza sostanziale perché contiene la sostanza dell'umanità di Cristo
unita alla divinità del Verbo. Perciò nell'Eucaristia ciò che
"appare" è il pane e il vino, i nostri sensi s'ingannano sulla realtà
delle "specie" eucaristiche (Sacre Specie), nelle quali tutta la
sostanza del pane è stata trasformata nella sostanza del corpo di Cristo, e
tutta la sostanza del vino è stata trasformata nella sostanza del sangue di Cristo.
E' il grande miracolo che avviene nella Santa Messa al momento della
consacrazione nella quale il sacerdote agisce in “Persona Christi”, nella
Persona di Gesù Cristo dove Lui stesso si fa vivo e presente per la salvezza
dell’uomo (…)
PER QUESTO L’EUCARISTIA È ANCHE “SACRIFICIO”. La salvezza infatti si è compiuta mediante il Sacrificio della Croce, e Gesù ha voluto che il suo sacrificio si perpetuasse nei secoli fino al suo ritorno. L'oblazione sacrificale compiuta da Cristo sul Calvario è stata un gesto divino e perciò eterno; non conosce confini di spazio e di tempo. Le specie sacramentali del pane e del vino sono il "luogo" dove si rende presente ineffabilmente ma realmente il sacrificio di Gesù. Perciò la Santa Messa è chiamata anche il "sacrificio dell'altare".
Ne consegue che la presenza di
Cristo nell'Eucaristia è quella di Vittima immolata per noi. Del resto, le
parole di Gesù sono chiare ed esplicite: "...Questo è il mio Corpo offerto in
sacrificio per voi", "...Questo è il calice del mio Sangue versato ... in remissione dei
peccati". Esse esprimono e rendono presente l'unico ed eterno atto
oblativo di Cristo.
Perciò il sacrificio dell'altare e il
sacrificio del Calvario sono lo stesso e identico sacrificio. Sono diversi
soltanto il modo e lo stato della Vittima: nel sacrificio dell'altare il modo è
incruento e lo stato della Vittima è quello glorioso, quello cioè proprio del
corpo glorificato del Risorto.
La Santa Messa diventa perciò il
"Memoriale" vivente di tutto il mistero di Cristo, nella sua totalità
e completezza. Così si esprime la preghiera eucaristica subito dopo la
consacrazione: "In questo memoriale della nostra redenzione celebriamo,
Padre, la morte di Cristo, la sua discesa agli inferi, proclamiamo la sua
risurrezione e ascensione al cielo, dove siede alla tua destra, e, in attesa
della sua venuta nella gloria, ti offriamo il suo corpo e il suo sangue,
sacrificio a te gradito, per la salvezza del mondo".
L’EUCARISTIA PERTANTO DIVENTA “SACRAMENTO” che rende possibile ad ogni credente l’incontro con Cristo e, in lui l’incontro con la misericordia del Padre celeste. Sacramento mediante il quale Gesù ha voluto in modo mirabile, ma semplice e accessibile, far giungere a tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, il suo sacrificio redentore;
Ovviamente
non basta che Gesù abbia istituito questo sacramento, occorre che noi crediamo,
che vi partecipiamo attraverso la comunione che viene appunto chiamata
eucaristica. Anche qui Gesù è stato categorico: "In verità, vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non
bevete il suo sangue non avrete in voi la vita. (...) Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue dimora in me e io in lui".
EUCARISTIA E SACERDOZIO Il sacrificio del Calvario è stato offerto al Padre da Cristo stesso, perciò Egli è contemporaneamente Vittima, Altare e Sacerdote. L'offerta di vittime come atto fondamentale di culto a Dio è sempre stato un ufficio proprio del sacerdozio, ma l'offerta del sacrificio della croce, essendo il sacrificio dell'Umanità santissima di Cristo, non poteva essere fatta che da lui stesso, avendo egli pieno potere sulla propria vita. "... Io offro la mia vita (...) Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio". Proprio il Padre ha costituito Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote, fin dal primo momento della sua incarnazione. "Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato".
Abbiamo già detto che Gesù,
nell'ultima Cena, consegnando agli apostoli il suo Sacrificio, trasmise loro
anche il suo sacerdozio: "Fate
questo in memoria di me". E' il sacerdozio "ministeriale";
il sacerdozio che conferisce il potere di agire nella persona stessa di Cristo.
Del resto, non solo per celebrare l'Eucaristia, ma anche per prendervi parte è
necessario essere partecipi del sacerdozio di Cristo. In effetti, anche il
potere di unirsi al sacerdote per offrire e ricevere l'Eucaristia è un atto
sacerdotale; appartiene al "sacerdozio comune" dei fedeli. La Chiesa,
infatti, nella sua totalità, è stata costituita come popolo sacerdotale perché
nel Battesimo noi tutti veniamo configurati a Cristo come Re, Profeta e
Sacerdote.
Questo spiega perché nelle Messe
votive del giovedì, il messale romano fa seguire alla messa dell'Eucaristia una
Messa votiva di Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote. I due sacramenti -
l'Eucaristia e il Sacerdozio - sono inscindibili, e costituiscono il grande
dono lasciatoci da Gesù la sera del giovedì santo. Perciò alla pietà
eucaristica dovrebbe accompagnarsi la venerazione verso il sacerdozio di Cristo
che continua ad operare nella persona del sacerdote cattolico.
TROPPO SPESSO IL SACERDOTE È VISTO IN UNA PROSPETTIVA SOLTANTO UMANA: un operatore sociale o un pubblico ufficiale che rilascia documenti ecclesiastici... La figura del sacerdote come "uomo di Dio", uomo che nel nome di Cristo mi assolve dai peccati, mi alimenta con la Parola di Dio e con il Corpo di Cristo, offre a Dio le mie preghiere e le mie lagrime, stende la sua mano benedicente sugli affetti nobili e santi che fondano la famiglia, distribuisce la grazia divina che fortifica e consola davanti al dolore e davanti alla morte...,
Questa
figura del sacerdote risulta lontana e spesso sbiadita agli occhi di molti
fedeli; eppure, è del "sacerdote-uomo di Dio” che noi abbiamo bisogno se
vogliamo incontrare Cristo nella sua Chiesa. Perciò Gesù stesso ci ha rivolto
l'invito esplicito di pregare: pregare il Padre perché chiami operai per la sua
messe. Pregare per il sacerdote perché sia buono e fedele, forte e
compassionevole, amabile e perseverante nel sacrificio, uomo di orazione, uomo
di perdono, uomo di unità nella Chiesa, è un dovere di giustizia per tutto
quello che riceviamo da lui.
Ma anche dobbiamo venerare il
sacerdote e trattarlo con rispetto e con affetto chiunque egli sia, con i
limiti, difetti - e con le debolezze - che egli possa avere, come faremmo con
nostro padre. La mormorazione, la critica pubblica e negativa, o peggio la
calunnia e il comportamento che mette in pericolo la fedeltà del sacerdote,
sono cose che recano un grave danno alla Chiesa e non sono mai fonte di bene
per chi le compie.
Semmai dovremmo aiutare il sacerdote con un’opportuna e discreta correzione fraterna, con il consiglio e i suggerimenti che possono venire dall'esperienza, dall'età, dalla conoscenza di situazioni che richiedono l'intervento del suo ministero sacerdotale, ma anche con la stima, l'incoraggiamento, non esclusa l'assistenza alle sue necessità materiali e personali. I fedeli danno prova di grande amore a Cristo quando considerano il sacerdote un vero tesoro per la Chiesa e per il mondo.
VENERDI’ SANTO
DOLORE E AMORE
La feria sesta della settimana, il venerdì, era dedicata dai pagani alla dea della bellezza, a Venere, ma nella Liturgia della Chiesa il venerdì rivestirà un significato completamente nuovo, desunto dal venerdì più importante di tutto l'anno: il Venerdì Santo, la feria sexta in Passione Domini. L'accostamento può apparire stridente, ma non lo è: "il più bello tra i figli degli uomini" si presenta a noi nella Passione come "un quadro di dolori", ma la sofferenza non toglie bellezza a quel Volto; il sangue, gli sputi, la polvere, hanno velato ma non nascosto la perfezione delle sue fattezze forti e amabilissime, ne hanno invece accresciuto il fascino e lo splendore. Mai sulla terra un volto umano ha rivestito tanta bellezza, e nessuna bellezza ha suscitato nel mondo tanto amore!
Analogamente, Colei che è "la bellissima fra tutte le donne" si rivolge a noi: "Voi tutti che passate per via, considerate e osservate se c'è un dolore simile al mio...!". Ma l'immenso dolore che ha trapassato l'anima di Maria non ha tolto grazia al suo viso, non ha oscurato lo splendore della sua bellezza, non ha impedito l'indicibile amabilità dei suoi occhi, del suo sorriso, di tutto il suo volto! Mai sulla terra una donna ha suscitato tanta commozione nel cuore degli uomini, e nessuna maternità ha conferito tanta bellezza al volto di una donna.
Il venerdì rimane anche per noi il
giorno della bellezza. Non è la bellezza trasfigurata che contempleremo nel
cielo e che riempirà di beatitudine i nostri occhi, è una bellezza ancora
terrena, che conosce tutte le espressioni del dolore e della sofferenza umana;
ma non è il dolore maledetto, rabbioso, urlato, che rivela tutta la sua
deturpante bruttezza, è un dolore d'amore, forgiato e sorretto dall'amore, un
amore senza limiti e senza durezze, un amore che è solo amore e trasfigura
l'Umanità di Cristo e della Vergine Madre in un "quadro di bellezza".
Dolore
e Amore: è il binomio della Passione, le due braccia della Croce. Nel
Venerdì santo si è compiuta la redenzione; in quel giorno l'Amore ha redento il
dolore, e la croce ha cessato di essere maledizione; l'amore l'ha fatta
diventare il sigillo del cristiano.
Dolore
e Amore: Gesù crocifisso e il Sacro Cuore. Il Venerdì ci ricorda queste due
grandi devozioni che hanno forgiato molti santi e costituiscono un prezioso
tesoro nel patrimonio della pietà cristiana.
Ma questa comprensione teologica non basta per spiegare un racconto che si distende in ampiezza e che si presenta con ricchezza di particolari come nessun altro racconto evangelico. Quello che era accaduto in poche ore e che si era abbattuto così improvviso e così inaspettato con incomprensibile crudeltà su Gesù - le violenze fisiche, i maltrattamenti, le umiliazioni di cui era stato fatto segno - tutto questo aveva avuto le caratteristiche di una tale brutalità che non poteva essere facilmente dimenticato e, per di più, si trattava di una brutalità assolutamente gratuita. Gli altri due crocifissi, che pure erano ladroni e malfattori, non avevano ricevuto i maltrattamenti inflitti a Gesù; non avevano subito la terribile flagellazione romana, non erano stati trattati a pugni e calci né erano stati esposti alla derisione e agli insulti come Gesù, non la corona di spine, non le percosse e gli sputi, non il ludibrio e la burla...; lo stesso ladrone pentito non può fare a meno di osservare: "Costui non ha fatto nulla di male!", osservazione che ci fa capire quanto appariva assurdo agli occhi di tutti quello che era stato perpetrato contro Gesù.
Perciò la Passione del Signore,
anche dopo averla compresa nel suo significato - era il prezzo per la nostra
redenzione e la condizione necessaria perché Gesù entrasse nella gloria del
Padre - restava sempre agli occhi degli Apostoli un fatto traumatico, una
ferita insanabile nell'animo e nella sensibilità di quanti avevano assistito al
furore di tanto odio e di tanta cattiveria. I primi cristiani, molti dei quali
erano stati testimoni di quelle vicende, portarono per sempre nel loro ricordo
ciò che li aveva così profondamente scossi e turbati: da una parte le
inenarrabili sofferenze del Signore, dall’altra la sua suprema dignità e la sua
mitezza nel sopportare ogni cosa. Per noi la Passione del Signore nei suoi aspetti
più drammatici ci rivela due verità che dovrebbero costituire un motivo di
ricorrente meditazione: la gravità e la malizia del peccato, l'amore senza
limiti che Gesù ha avuto per noi.
RIPARAZIONE. La Passione di Cristo è per noi una scuola efficacissima; essa ci educa alla pietà e all'amore. (…) Siamo presenti nella passione di Cristo in prima persona, ciascuno col peso della propria vita e delle proprie responsabilità. Troppa gente si sente estranea al dramma della Passione, perché - pensa - Gesù sulla croce ce l'hanno messo gli altri. E gli altri sono: i ladri, i corrotti, i bestemmiatori, i furfanti, i traditori... insomma i peccatori. "Ma io, che ho sempre cercato di vivere onestamente, che ho sempre compiuto il mio dovere e non ho mai fatto male a nessuno, io non c’entro in quella dolorosa e brutta vicenda che ha condotto Cristo sulla croce".
La verità è che nessuno di noi è innocente.
Perfino un bambino appena nato, nonostante la sua innocenza personale, porta
con sé la triste eredità lasciata dai progenitori: il peccato originale. Sulla croce c'è l'unico Innocente che sia
vissuto sulla terra, ed è salito sulla croce per obbedire al Padre e pagare per
il nostro peccato. L'umiltà, che è verità, ci assicura che ognuno di noi ha
il suo posto su quelle membra martoriate ed offese, ha messo la sua voce in
quelle grida di scherno e di rifiuto, o per lo meno è rimasto inerte e passivo
tra la folla degli spettatori, senza un gesto di pietà e di comprensione.
Davanti a Gesù crocifisso ognuno di noi deve dire con San Paolo: "Dilexit me, et tradidit semetipsum pro me! -
Mi ha amato e ha dato sé stesso per me!". E' da questa consapevolezza
che deve nascere nel nostro cuore il desiderio sincero della riparazione.
Riparare vuol dire restaurare ciò che è stato rovinato o danneggiato. Gesù
sulla croce ha innanzitutto restaurato la nostra dignità offesa e profanata, ma
soprattutto ha restituito a Dio l'onore e l'adorazione che gli abbiamo negato
col peccato. Gesù è il grande Riparatore, ma il peccato è nostro e abbiamo il
dovere di partecipare da parte nostra alla riparazione compiuta da Gesù perché
il peccato è una ferita inferta a Cristo, non solo nel suo corpo fisico ma
anche nel suo Corpo Mistico, la Chiesa.
Prende
allora significato l'espiazione non solo per i nostri peccati ma anche per
quelli dei nostri fratelli, e diventa un dovere di fraternità la preghiera per
la conversione dei peccatori, per coloro cioè che vivono nel loro peccato. E'
un dovere di giustizia e un obbligo d'amore, se non altro perché non possiamo
sopportare che il Sangue di Cristo sia stato sparso invano per qualcuno dei
nostri fratelli.
LA VIA CRUCIS. Sappiamo che la Messa abbraccia tutto il Mistero di Cristo: la Messa è il memoriale della Pasqua del Signore, anzi Memoriale della sua Incarnazione, Passione, Morte, Risurrezione e Ascensione al Cielo.
Tuttavia la Messa votiva della Passione vuole
concentrare la nostra pietà liturgica su quell’aspetto particolare del mistero
di Cristo che è stato descritto anche dal Profeta Isaia: il Servo di Jahvé,
cioè il Cristo sofferente. Proprio per alimentare la nostra devozione a Cristo
sofferente la pietà cristiana ci offre due pratiche largamente diffuse tra il
popolo cristiano: la Via Crucis e la devozione al Crocifisso. La consuetudine
di ripercorrere con la mente e con il cuore la via dolorosa che ha portato Gesù
dal Pretorio di Pilato al Calvario è nata probabilmente con i pellegrinaggi a
Gerusalemme durante i quali si visitavano i luoghi che erano legati al dramma
della Passione del Signore. Nei secoli successivi, la pietà e l'amore hanno
aggiunto altri episodi a quelli documentati dal Vangelo, arrivando, verso il
primo '600, alla forma attuale della Via Crucis con 14 stazioni.
Poche devozioni fanno tanto bene
alla nostra anima quanto l'esercizio della Via Crucis. Le anime che amano profondamente Gesù Cristo sentono il bisogno di non
lasciarlo solo in mezzo al ludibrio e allo scherno della folla che faceva
ala al suo passaggio. Il peso della croce, la fatica della strada, la debolezza
estrema delle sue membra, erano nulla a paragone dell'amarezza interiore e del
tedio spirituale e morale che affliggeva la sua anima. L'unica presenza in
mezzo a tanto odio è stata la tenerezza silenziosa ma dolcissima di sua Madre,
che Giovanni e le altre donne, prese più dal terrore e dallo smarrimento, non
potevano capire. Ancora una volta la via
dolorosa del Signore ci ricorda la profonda malizia del peccato e l'immenso
amore di Cristo per noi. Ripercorrere quella strada è rinnovare la contrizione,
la gratitudine, la gioia, il proposito; è rinnovare l'amore.
LA DEVOZIONE AL CROCIFISSO. Il Crocifisso occupa un posto fondamentale nella tradizione della Chiesa, a tutti i livelli: patristico, liturgico, ascetico. Questa centralità ha influito sulla fede e sulla pietà del popolo cristiano che ha fatto di Cristo crocifisso l'icona più universale, l'immagine più amata nella storia del cristianesimo. La devozione al Crocifisso non ha avuto storia facile nel tempo. Già per i primi cristiani presentarsi come seguaci di un Dio condannato ad un patibolo così infamante e ignominioso costituiva una prova eroica di coraggio e di fedeltà. San Paolo ne era pienamente consapevole quando scriveva ai Corinzi: "Mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani".
Occorre arrivare a dopo Costantino,
superata la ripugnanza che la croce suscitava nei pagani, per vedere le prime
raffigurazioni pubbliche di Cristo crocifisso. La Croce, soprattutto dopo il
suo ritrovamento, venne fatta oggetto di culto e di adorazione, come se fosse
Cristo stesso, dato il legame che essa ha avuto con il suo sacrificio. Così si
cominciò a vedere la croce nella prospettiva della vittoria di Cristo,
prospettiva cara soprattutto agli orientali presso i quali Cristo veniva spesso
raffigurato sulla croce rivestito di abiti regali; era l'immagine solenne di un
Re vittorioso. Nei secoli successivi, soprattutto nel Medio Evo, si scoprì la
croce nel suo primitivo significato di simbolo della umiliazione di Cristo,
della sua passione e del suo annientamento, secondo l'espressione di San Paolo:
"Umiliò sè stesso facendosi
obbediente fino alla morte e alla morte di croce". Cristo crocifisso
viene così raffigurato nel suo aspetto di sofferenza, con il corpo affranto,
accompagnato dai segni della passione e attorniato dalle figure dolenti che lo
videro crocifisso sul calvario in modo da spingere i fedeli al desiderio di
riparare e di partecipare alle sue sofferenze.
Per il cristiano, invece, il Crocifisso
rimane il grande libro della sua vita; su quelle pagine con l'aiuto della
Chiesa e con i sentimenti della pietà, il cristiano sa leggere tutto ciò che
Dio ha voluto scrivere per noi. Su quelle pagine c'è scritta la giustizia di
Dio perché la morte di Cristo è la condanna del nostro peccato, c'è scritta la
misericordia di Dio perché il sacrificio di Cristo ha meritato il perdono delle
nostre iniquità, c'è scritta l'onnipotenza di Dio perché la debolezza di Cristo
è vittoria sulla forza del male, c'è scritta la sapienza di Dio perché si è
compiuto nella passione di Cristo il disegno del Padre per la salvezza
dell'uomo, c'è scritta la libertà di Dio che nell'obbedienza di Cristo ha
liberato la libertà dell'uomo; in una parola, quelle pagine ci raccontano tutto
l'amore di Dio per noi perché in Cristo, morto e risorto, il Padre ci ha donato
ogni cosa, e la vita eterna. “Quando sarò
innalzato da terra, attirerò tutto (tutti) a me”.
Mettere la croce di Cristo nel cuore di
ogni uomo, sulla sommità di ogni valore e di ogni attività umana, perché tutto
e tutti, passando attraverso la croce di Cristo, incontrino la salvezza, e Gesù
Crocifisso sia glorificato sulla terra come Salvatore del mondo: è questa una
delle grandi ispirazioni che Dio ha messo nel cuore di san. J. Escrivà. Per
tutta la vita egli ha cercato che questo diventasse l'impegno apostolico di
migliaia di anime. “Come cristiano
dovresti portare sempre con te il tuo Crocifisso. E metterlo sul tuo tavolo di
lavoro. E baciarlo prima di addormentarti e al risveglio: e se il tuo povero
corpo si ribella contro l'anima, bacialo anche allora (…) perché quel
crocifisso devi essere tu”.
L’amore per il crocifisso ci deve
portare alla DEVOZIONE AL SACRO CUORE, come segno di quell’amore anche umano
che Gesù manifestò attraverso Santa Margherita Maria Alacoque, quell’amore
spesso dagli uomini ricambiato con indifferenza, oltraggi e profanazioni. Cuore
Sacratissimo e misericordioso di Gesù, abbi pietà di noi.
Brani da “La moneta del tempo”
di Ferdinando
Rancan
SABATO SANTO
Il “giorno mariano”
La feria “settima” della settimana, il giorno dedicato dai pagani a Saturno, venne sempre indicato nella Liturgia della Chiesa con il nome ebraico di "sabato". Conosciamo già il suo significato presso gli Ebrei. Ma nella tradizione cristiana il sabato era considerato un giorno di tristezza: ricordava la sepoltura di Gesù. Era perciò un giorno di penitenza e di digiuno, conformemente a quanto aveva predetto Gesù stesso: “Verranno i giorni quando sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno".
Nel Triduo pasquale, il sabato
rimaneva un giorno liturgicamente "vuoto", un giorno riservato al
silenzio e alla riflessione. Veniva perciò spontaneo, dopo aver celebrato, nel
venerdì, la Passione del Figlio, ricordare, nel sabato, il dolore e la
"passione" della Madre che, ai piedi della croce, era stata
intimamente unita al sacrificio di Cristo. Tanto più che in quel sabato, così
"vuoto" e triste, l'unica persona che seppe conservare la fede in
Gesù e la certezza che tutto si stava compiendo secondo il disegno di Dio, fu
lei, la Madre del Redentore.
Con il tempo, perduto il riferimento
al sabato santo e sviluppandosi, nel Medio Evo, la devozione all'Addolorata
come festa autonoma per celebrare tutto il dolore di Maria, il sabato cessò di
essere un giorno "triste" e penitenziale per diventare un giorno di
gioia e di letizia; una gioia contenuta e sommessa, a dimensione, potremmo
dire, famigliare, quella gioia che proviene dalla presenza abituale della madre
in un focolare domestico. Un riferimento penitenziale, tuttavia, sopravvisse
nella consuetudine, praticata da molti fedeli, di offrire ogni sabato una
piccola mortificazione, un "fioretto", in onore della Vergine, come testimonianza
di affetto e di devozione alla Madre di Dio.
Non sappiamo se queste o altre furono le
considerazioni che portarono la pietà cristiana a fare del sabato un giorno
mariano, sta di fatto che tra tutte le devozioni ricordate nei vari giorni
della settimana, questa, del sabato dedicato alla Madonna è, dopo quella del
venerdì dedicato alla passione del Signore, la devozione più diffusa, più
unanime e di più antica tradizione. (…) Tanto che ne dà testimonianza la
progressiva presenza di Maria nella Liturgia della Chiesa, nel culto e nella
fede del popolo cristiano, come anche nella stessa riflessione teologica, che
hanno portato all'attuale calendario delle feste mariane e al nuovo Messale
liturgico.
Questo ci aiuta a capire che la
devozione alla Madre di Dio non è una devozione "facoltativa",
puramente devozionale, ma risponde a una precisa volontà di Dio che ha affidato
a Maria una missione unica e singolare riguardo agli uomini. "Porre Maria
al posto che le compete per volontà divina nella storia della nostra salvezza:
questo è essenziale. Quello che importa alla nostra fede e alla nostra pietà
mariana è conoscere la sua missione salvifica così come ci appare attraverso le
pagine ispirate della Bibbia e della Tradizione vivente della Chiesa"
(Hans Hasmussen).
LO SPECIFICO FEMMINILE: LA MATERNITÀ. Il ruolo fondamentale che Dio, nel suo disegno di salvezza, ha affidato alla Madonna è quello della maternità. Del resto, non poteva affidarle un ruolo diverso dal momento che questa è la missione specifica e propria di ogni donna. Lo specifico femminile è quello di essere, nella maternità, una teofania di Dio: attraverso il mistero della vita la donna rivela Dio all'uomo. Lo rivela nei suoi tre aspetti fondamentali: come dono, perché Dio è Dono, e la donna è il dono fatto da Dio all'uomo; come vita, perché Dio è il Vivente, e la donna racchiude e custodisce in sé stessa il mistero della vita; infine, come amore, perché Dio è amore, e la donna ha reso possibile l'amore togliendo l'uomo dalla sua solitudine.
Questa "missione
profetica" della donna, come la chiama Giovanni Paolo II, esprime le
prerogative che Dio ha messo nel cuore della donna in vista della sua missione
fondamentale: l'accoglienza dell'essere umano. Infatti, in ebraico, Eva significa
"vita"; Adamo chiamò la donna Eva "perché essa fu la madre di tutti i viventi"
Tutti questi motivi spiegano perché
la donna sente una profonda attrattiva verso l'uomo, attrattiva che il peccato
ha rovinato trasformandola in schiavitù, mentre, originariamente, era la voce
limpida e gioiosa della sua femminilità che vedeva nell'uomo l'essere
affidatole da Dio perché lo custodisse nel suo grembo sin dal concepimento.
Ecco perché l'aborto è innanzitutto una violenza contro la donna, perché
nell'aborto la donna non uccide soltanto l'essere umano che le è stato
affidato, ma uccide anche sé stessa come donna.
S. MARIA NEL DISEGNO DI DIO. Ora, la maternità di Maria ricupera e riscatta la maternità di Eva, anzi riscatta tutta la maternità umana, quella dell'intera umanità. La maternità di Eva era diventata una maternità di dolore e di morte; essa generava dei condannati a morte, e tale maternità si prolungava lungo tutte le generazioni umane. Il peccato è sinonimo di morte e perciò il grembo che era per la vita si è trasformato in una tomba per la morte.
Ora, Maria fu predestinata da Dio a soppiantare Eva e generare il nuovo
Adamo, capostipite della nuova umanità.
Maria è il capolavoro della creazione rinnovata, il prototipo della
nuova umanità. San Bernardo, in una pagina stupenda, immagina che, nel momento
dell’Annunciazione, tutta l'umanità stia assistendo al colloquio dell'Angelo
con la Madonna; San Bernardo si rivolge a Maria invitandola, supplicandola, a
dire di sì all'Angelo, ad aprire il suo grembo allo Spirito Santo, a non temere
la potenza di Dio che le affida il suo Verbo, a rispondere con la fede alla
volontà dell'Altissimo. E quando la Madonna rompe il silenzio pronunciando il
suo "fiat", un grido di gioia corre lungo i secoli e attraversa tutta
la storia umana: "Tutte le
generazioni mi chiameranno beata!...", e il suo cantico di lode
cancella le parole di condanna che erano state pronunciate nell'Eden.
Maria ricupera Eva e, in Eva, ogni
donna, perché ricupera la maternità umana e le conferisce una dimensione
totalmente nuova che nessuna maternità aveva né poteva avere: la dimensione
redentiva. Quella di Maria è una
maternità di redenzione. Questa dimensione fondamentale della maternità di
Maria ci illumina immediatamente sul rapporto unico che la Madonna ebbe con le
Persone Divine della Trinità Santissima.
1.. FIGLIA DI DIO PADRE. Maria è figlia eccelsa
di Dio Padre predestinata e scelta dall’eternità ad essere la sua “serva” in
ordine al piano di salvezza. La sua maternità redente è perciò strettamente legata
alla paternità di Dio. (…) Dio Padre non si è rassegnato al peccato che ha
deturpato l’uomo fatto a Sua immagine e somiglianza, ma ha voluto ri-creare una
creatura più santa, più perfetta, più bella: ha inventato la Piena di Grazia,
capolavoro della Creazione, prototipo della nuova umanità che avrebbe avuto in
Gesù Cristo la sua perfetta realizzazione.
Sta in questo il motivo fondamentale della
Concezione Immacolata di Maria. Se il grembo di Maria doveva essere segno della
fecondità e della vita, in quanto generava il Figlio dell’Eterno Padre, allora
Maria non poteva essere soggetta al peccato nemmeno per un solo istante, fin
dalla sua concezione. Se dunque Maria doveva essere Madre, di una maternità
secondo il disegno di Dio, doveva essere Immacolata.
2..
MADRE DI DIO-FIGLIO. Una maternità redenta, quella di Maria, e
insieme una maternità di redenzione, perché maternità divina. Maria, infatti
"partorirà un figlio e lo chiamerà
Gesù (=Salvatore): egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Si
stabilisce così tra Maria e il Figlio di Dio, un rapporto unico e sublime che
nessun'altra creatura potrà mai uguagliare. Ricuperando la maternità di Eva,
Maria rimane profondamente legata all'umanità, a tutti noi, ma nella maternità
divina Maria viene assunta in un rapporto con Cristo che rimane fondamento di
tutta la sua missione e perciò della sua identità e della sua grandezza.
Ora, Gesù è Dio, è il Messia, è il
Redentore. Ciò significa che la maternità di Maria non è un fatto puramente
naturale, ma un mistero divino, mistico, soprannaturale, e non solo nel modo e
nella sostanza ma anche nella sua ampiezza e dimensione. Cioè la maternità divina lega profondamente Maria a Cristo come Dio (Mater Dei), come Messia (Mater Christi), come Redentore (Alma Redemptoris Mater).
Maria è innanzitutto la Madre di
Dio, la Theotokos (=Mater Dei). E' il titolo più alto e sublime che la Chiesa
ha rivendicato per Maria. L'hanno proclamato solennemente i Padri nel Concilio
di Efeso (431 d.C.), affermando che l'unica persona in Gesù è la Persona del
Verbo, la seconda Persona della Trinità Santissima. Gesù è dunque il Figlio di
Dio, e Colei che l'ha accolto nel suo grembo è vera Madre del Verbo. Maria ha
veramente concepito e generato un essere umano che nello stesso tempo è Dio.
Egli, Figlio del Padre secondo la natura divina, è divenuto figlio di Maria
secondo la natura umana. A partire dal Concilio di Efeso il culto di Maria
entrò nella Liturgia della Chiesa e nella devozione del popolo cristiano con
una dimensione più alta e solenne: pur restando "l'umile serva del
Signore" - la Madre di Gesù, secondo l'espressione evangelica - Maria
viene celebrata nella sua realtà di Madre del Signore, Madre del Re e perciò
Regina e Signora.
3.. MADRE DI
CRISTO, MESSIA. Nell'Incarnazione, la maternità divina di Maria si rivela
anche come maternità messianica. Il
Figlio di Dio, fatto uomo nel grembo di Maria, è l'Inviato del Padre, è il Messia promesso da Dio all'umanità, colui
che i Patriarchi, i Profeti e tutto un popolo hanno atteso per secoli,
desiderato e invocato da intere generazioni. Come Messia, Cristo è il Mediatore
tra Dio e l'uomo; è l'unico, vero, interlocutore degli uomini davanti al Padre.
Vero Dio e vero uomo, Egli ricongiunge in sé la creatura con il suo creatore;
ha gettato un ponte - è il grande Pontefice - sull'abisso che separava la terra
dal cielo, e nel grembo di Maria, è stato "unto" (=Cristo) come
Messia. Ormai non è più possibile arrivare a Dio se non per mezzo di Gesù:
"Io sono la Via, la Verità e la
Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me".
E' una
mediazione, quella di Cristo, che non ha uguali: è unica, eterna, assoluta. E'
unica perché Cristo è mediatore per
natura essendo Dio-Uomo nell'unica Persona del Verbo; La mediazione di
Cristo è eterna, perché abbraccia tutto il tempo, dalla creazione alla
risurrezione, alla glorificazione di tutte le cose; Infine la mediazione di
Cristo è assoluta, non dipende da
altre mediazioni, non è subalterna ad alcuna creatura e appartiene in assoluto
a Cristo. Maria dunque è intimamente legata alla missione mediatrice di
Cristo. (…)
4.. MADRE DI
CRISTO, REDENTORE. La maternità divina di Maria diventa così una maternità corredentrice; come madre del
Redentore, la Madonna partecipa alla redenzione operata da Cristo. Già
nell'Incarnazione il "sì" di Maria ha un valore salvifico, non per sé
stesso ma perché partecipa ed è unito intimamente all'Eccomi di Cristo che obbedisce al Padre e prende il nostro corpo
umano per farne sacrificio di salvezza.
L'atto di fede di Maria non si limita alla nascita di Gesù
ma abbraccia tutto il messaggio dell'Angelo. In quel messaggio non le veniva
chiesto il consenso per il concepimento di un bambino di cui avrebbe ignorato
il destino: quel bambino doveva chiamarsi "Gesù" perché avrebbe liberato
l'uomo dal suo peccato. Il "sì" di Maria all'Angelo abbracciava
dunque tutto il mistero di Cristo: la sua Incarnazione e la sua nascita ma
anche la sua passione e la sua morte redentrice.
Maria infatti ne fu avvertita
quaranta giorni dopo la nascita del Bambino, quando portò Gesù al Tempio per
offrirlo al Padre: quel gesto ebbe un significato ben più profondo di quello
inteso da Mosè che aveva ordinato agli Ebrei di offrire a Dio e poi di
riscattare i primogeniti perché si ricordassero che la mano di Dio li aveva
scampati dall'Angelo sterminatore. Nel ricevere tra le braccia il Bambino, il
vecchio Simeone sarà esplicito con Maria: quel Bambino sarà salvezza e rovina
di molti, e "Anche a te una spada
trafiggerà l'anima".
Il
valore redentivo della maternità divina di Maria ha avuto la sua espressione
più alta e commovente sul Calvario. Gesù è ormai immolato sull'altare della
croce, Vittima e Sacerdote insieme; nel suo sacrificio si sta compiendo la
redenzione del mondo. Gesù guarda Maria e le rivolge quell'espressione carica
di mistero, così umana ma anche così divina: "Donna, ecco il tuo Figlio!" Gesù non la chiama madre ma "donna", come Adamo aveva
chiamato Eva. Maria dunque ricupera la femminilità con tutti i suoi valori;
cioè ricupera Eva e, in Eva, ogni donna. Poi aggiunge: Ecco tuo figlio! Questa
espressione del Signore ha un duplice significato: in quel "figlio"
Gesù indica innanzitutto sé stesso. Come dicesse: Tuo figlio è questo che tu
vedi sacrificato sulla Croce per la salvezza degli uomini. In altre parole:
"Tu sei madre della vittima immolata per il peccato, perciò la tua
maternità è una maternità di redenzione perché essa ti fa partecipe del
sacrificio del Figlio". (…)
Nessuna
madre ha sofferto tanto per partorire i suoi figli, e nessun figlio è
costato tanto alla propria madre quanto è costato ognuno di noi alla madre di
Cristo. Perciò le siamo infinitamente cari e ci ama come nessuna madre ha mai
amato i propri figli, e ci guarda con occhi che non hanno riscontro con nessuno
sguardo di donna e di madre. Nessuno,
infatti, che si affida a Lei e che la invoca con fiducia e perseveranza, può
andare perduto.
5.. SPOSA
DELLO SPIRITO SANTO. La maternità messianica e redentiva costituisce
Maria madre nostra, madre degli uomini, ma soprattutto madre dei credenti,
Madre della Chiesa. Il titolo di "Mater Ecclesiae" entra
definitivamente nella dottrina cattolica e nell'insegnamento ufficiale della
Chiesa con Paolo VI alla conclusione del Concilio Vaticano II.
La Chiesa nasce nel giorno della
Pentecoste, ed è in quel momento che Maria è costituita Madre della Chiesa.
Essa fu madre di Cristo per opera dello Spirito Santo, e ancora per opera dello
Spirito Santo divenne Madre della Chiesa. L'Incarnazione e la Pentecoste
mettono in luce il rapporto unico e sublime che legò Maria allo Spirito Santo;
è paragonabile al rapporto nuziale: Sposa di Dio-Spirito Santo. "Il seno
di Maria - scrive San Gregorio Magno - è il talamo nuziale dove si compie lo
sposalizio di Dio con l'uomo". Perciò quello che avvenne in Maria
nell’Annunciazione e nella Pentecoste non può essere che opera dello Spirito
Santo, “Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine”.
Nessuna creatura avrà mai un
rapporto così intimo con Dio come Maria, nessuno mai entrerà così profondamente
nel cuore di Dio e nelle profondità della sua intimità divina come vi entrò la
Vergine Santa. “Ave Maria, Figlia di Dio Padre; Ave Maria, Madre di Dio Figlio;
Ave Maria, Sposa di Dio Spirito Santo… Più di te, soltanto Dio!”
Sotto la tua protezione
veniamo a rifugiarci,
Santa Madre di
Dio;
non respingere le suppliche
che ti rivolgiamo
nelle nostre necessità,
ma liberaci sempre
da tutti i pericoli,
o Vergine gloriosa e benedetta!
****************************
O Madre mia e Regina mia,
io mi abbandono interamente a Te
e in pegno della mia devozione
consacro, oggi, al tuo Cuore Immacolato
i miei occhi, la mia bocca, il mio cuore,
tutto me stesso.
E poiché sono TUTTO TUO,
o mia buona Madre,
custodiscimi come tua proprietà,
proteggimi e difendimi dal Maligno,
e da ogni male,
conservami fedele al tuo Gesù
nel servizio alla sua Santa Chiesa,
per il bene di tutte le anime.
Amen
Brani
da “La moneta del tempo”
di Ferdinando Rancan
Ed. Fede & Cultura
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