L’ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO
BRANO DAL LIBRO
“IN QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO”
Di Ferdinando Rancan
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- Maria e la sua “ora” Quel giorno, il giorno del Concilio apostolico, Maria lo aveva
trascorso in continua preghiera. Si tenne molto appartata e immersa in profondo
raccoglimento. Il mattino seguente, quando ci vide, si fece raccontare da
Giovanni lo svolgimento dell’assemblea che aveva visto riuniti gli Apostoli, e
rimase visibilmente soddisfatta per l’esito confortante che la concluse. Non ne
aveva avuto nessun dubbio e ne ringraziò il Signore.
Poi ci chiamò vicino a sé e guardandoci con
immenso affetto: “Figli miei, -
cominciò - ora il mio compito sulla terra
si è concluso. Vi disperderete in tutte le direzioni e porterete il Vangelo a
tutti i popoli della terra. Incontrerete molte tribolazioni, soffrirete
persecuzioni da parte degli uomini e l’ostilità da parte del Maligno, e molti
di voi berranno il calice del Signore rendendogli testimonianza con il proprio
sangue. Io non potrò accompagnarvi per le strade della terra, ma vi seguirò dal
Cielo, anzi, vi precederò con le mie suppliche davanti al trono di Dio;
presenterò al Padre il Figlio suo e Figlio mio diletto affinché si aprano alla
salvezza tutti i cammini della terra”.
Poi si rivolse a Giovanni e gli espresse il
desiderio - che era poi una sua decisione meditata e consapevole - di lasciare
la casa dove era vissuta con lui e con noi negli anni che seguirono alla
Pentecoste, per trasferirsi nella casa di Marco, che era stata la culla della
Chiesa. Lì Gesù aveva vissuto le ultime ore della sua vita; lì la Chiesa aveva
vissuto le prime ore della sua esistenza; lì era nata l’Eucaristia; lì gli
Apostoli avevano vissuto insieme con lei la grande attesa dello Spirito; lì,
per mezzo di lei, - la Vergine-Madre - il soffio dello Spirito aveva generato
la Chiesa. Lì dunque ella doveva concludere la sua missione terrena.
Da tutto il suo comportamento si capiva che
Maria era consapevole che era arrivata la “sua ora”. In un momento di
confidenza le presi la mano, stringendola forte. Capì che il mio gesto era una
domanda. Mi guardò intensamente e profondamente con un sorriso dolcissimo: era
la sua risposta. Compresi che ella, forse il giorno precedente, aveva ricevuto
una visita da Gesù. L’aveva avvertita della “sua ora”? Forse!
Ci trasferimmo dunque a casa di Marco. Maria
non aveva voluto prendere nulla di cibo, ma le sue forze avevano già dato segno
di cedimento. Entrando in casa, salutò le donne e gli Apostoli. Essi stavano
preparandosi per recarsi al Tempio; il popolo li attendeva per la preghiera e
per ascoltare la loro parola. La maggior parte dei discepoli anziani avevano
già lasciato la casa; erano rimasti Pietro, Andrea e gli altri. Mancavano
Giacomo di Zebedeo che aveva subìto il martirio qualche anno prima, Tommaso il
quale, prima di partire per la Mesopotamia, volle recarsi dal diacono Nicanore,
e Natanaele che non era potuto rientrare a Gerusalemme.
Maria si fermò davanti a Pietro e lo salutò
affettuosamente, poi osservandolo dalle spalle alle ginocchia: “Figlio mio, - gli disse sorridendo - ti sei messo la tunica al rovescio!”.
Pietro si guardò impacciato e un po’ confuso, poi scoppiando in una fragorosa
risata: “Madre! - rispose - sai bene che l’ordine non è mai stato il mio
distintivo!”. Maria lo rincuorò, poi aggiunse: “Pietro, è venuto il momento in cui dovete lasciare Gerusalemme,
secondo il comando di Gesù. Questa città ha goduto abbondantemente dei prodigi
che il Signore ha compiuto per mano vostra; il mondo intero è ora in attesa del
Vangelo. Quanto a te, il Signore ti ha liberato più volte dalle mani dei tuoi persecutori.
Ora devi tornare a Roma per continuare la predicazione del Vangelo che lì hai
appena iniziato. Roma sarà la ‘tua’ città. Da essa la tua testimonianza su Gesù
e la fermezza della tua fede si irradieranno nel mondo intero”.
Poi, guardando Marco che era lì vicino,
continuò: “Prendi con te quel ragazzo; è
diventato ormai uomo forte e robusto. Ti sarà di molto aiuto e lo terrai come
un figlio. E tu, Marco, figliolo caro, mettiti a disposizione di Pietro; avrà
bisogno di te. Da oggi lo considererai e lo tratterai come padre tuo”.
Dopo questo, Maria volle salire al piano
superiore e visitare il Cenacolo. Si capiva che quella era per lei l’ultima
visita al luogo che era rimasto tra i più cari alla sua memoria. Stette in
silenzio qualche istante, poi si recò alla finestra, guardò la città e su in
alto il Tempio inondato di sole. Emise un lungo sospiro accompagnato da un
sorriso che era un misto di gioia e di tristezza. Si ricompose prontamente e
scese con noi al piano inferiore. Fu allora che mi accorsi che le sue forze
stavano diminuendo rapidamente.
127
- La “dormizione” di Maria Le donne intanto avevano preparato per lei una stanza nell’altra parte
della casa. Maria, accompagnata da Myriam, attraversò il cortile e prese
alloggio nella stanza. Non manifestava alcun segno di malattia, nessun sintomo
di particolare affezione. Accusava soltanto un’indefinibile astenia come se in
lei andasse spegnendosi l’energia vitale. Sorseggiò un po’ di latte e miele che
le aveva preparato la mamma di Marco. Ne trasse un momentaneo beneficio che le
permise di occuparsi di vari argomenti che riguardavano le necessità degli
Apostoli e della loro imminente dispersione.
Verso sera la sue condizioni accusarono un
ulteriore cedimento al punto che non riusciva più a reggersi in piedi. Avrebbe
voluto coricarsi sul pavimento usando soltanto una piccola stuoia. Giovanni e
le donne non glielo permisero; le prepararono invece un divano fornito di un
drappo morbido e prezioso. Maria non volle opporsi e si sottomise umilmente alla
loro decisione.
A sera gli Apostoli si riunirono nella sala
grande a celebrare la Cena del Signore. Maria chiese a Giovanni di celebrare la
Frazione del Pane nella sua stanza insieme a tutti noi. Furono momenti di
indescrivibile commozione. Eravamo distribuiti intorno al divano sul quale
giaceva Maria appoggiata ad un grosso cuscino ricamato. Da una parte stavamo
io, la Maddalena, Susanna e Salome; dall’altra stavano Myriam e Lazzaro con le
sorelle Marta e Maria. Ai piedi del divano Giovanni, con un piccolo tavolo sul
quale erano posti la coppa del vino e il pane azzimo.
Si cominciò con i Salmi di lode e di
adorazione al Signore. Seguì la lettura. Lazzaro lesse il brano dell’Esodo dove
si narra il miracolo della manna che ha alimentato il popolo durante il viaggio
nel deserto. Giovanni a commento del brano ricordò le parole del Signore nella
Sinagoga di Cafarnao: “Io sono il Pane
della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti.
Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io
sono il Pane vivo disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Giovanni parlava lentamente, con gli occhi
chiusi come se quelle parole fossero gioielli preziosi che egli estraeva
dall’archivio della sua memoria con lo sguardo contemplativo dell'anima. Fece
seguire una pausa di silenzio e di riflessione, poi stese le mani sul pane e
sul vino invocando la benedizione divina. Quindi, ripetendo i gesti e le parole
di Gesù, prese il pane, lo mostrò a noi e disse: “Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo sacrificato per voi”.
Dopo un profondo inchino, prese la coppa del vino e continuò: “Questo è il mio sangue, il sangue della
nuova Alleanza, sparso per molti in remissione dei peccati”. Rinnovò il
profondo inchino di adorazione, imitato da tutti noi. Lasciò un tempo al
silenzio e alla preghiera, poi alzò le mani e gli occhi al cielo dicendo: “Salga a te, o Padre, questa offerta del tuo
Figlio diletto e Signore nostro, Gesù Cristo. Discenda su di noi, sulla tua
Chiesa e su quanti invocano il tuo nome la tua benedizione, la salvezza e la
pace”. Poi, rivolto a noi, ci invitò a pregare il “Padre nostro”, la
preghiera che Gesù stesso aveva consegnato agli Apostoli ed era diventata
riferimento per ogni preghiera della Chiesa.
Congiunse le mani e, guardando il pane e il
calice, riprese: “L’Agnello che fu
immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore,
gloria e benedizione”. Quindi prese il piatto con il pane e il calice ed
elevandoli al cielo, concluse: “A Colui
che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei
secoli”. “Amen!”, fu la nostra
risposta. Poi rivolto a tutti continuò: “Beati gli invitati alla Cena dell’Agnello”.
A questo punto Giovanni staccò un boccone di Pane, lo intinse nel vino per
ammorbidirlo e si recò al capezzale di Maria, le mostrò la coppa e il pane
dicendo: “Ecco il Corpo e il Sangue del
tuo Figlio diletto”.
Maria fissò quel Pane intensamente, in
silenzio; poi alzò lo sguardo verso Giovanni e lo fissò intensamente, in
silenzio. Poi, con un filo di voce sussurrò: “Sono la serva del Signore. Amen!”. Prese il Pane e si immerse in
un profondo raccoglimento. Io ebbi l’impressione che agli occhi di Maria il
Pane eucaristico e il volto dell’Apostolo si fondessero, quasi fossero un'unica
cosa. Come dire che il suo Figlio unigenito e il suo figlio di adozione erano
un tutt’uno nel suo cuore di Madre.
Noi che eravamo intorno a quel letto ci
sentivamo invasi dalla commozione che a fatica riuscivamo a trattenere. Ci
venne in aiuto la comunione eucaristica che attirò il nostro pensiero e il
nostro cuore sul grande mistero dell’amore di Cristo. Giovanni lasciò passare
minuti di silenzio per rispettare il raccoglimento di Maria. Poi intonò i Salmi
e le preghiere di ringraziamento e di benedizione. Maria aprì gli occhi e ci
sorrise. Era raggiante.
Intanto gli Apostoli avevano concluso la
liturgia della Cena e avevano congedato gli Anziani e gli altri discepoli. Accompagnati
dalla madre di Marco vennero da noi per far visita alla Mamma del Signore. La
stanza si riempì completamente; Maria salutò tutti con un fil di voce senza
riuscire a sollevarsi. Pur restando assolutamente presente e conservando una
perfetta lucidità di pensiero, Ella andava perdendo le forze sempre più
vistosamente.
Tuttavia, come se avesse una sua recondita
riserva di energie, chiamò Pietro vicino a sé. Pietro si pose in ginocchio
accanto al letto, vi appoggiò il suo testone gonfio di capelli ispidi e con la
voce soffocata dai singulti: “Grazie,
Madre! Grazie di tutto!”. E non aggiunse altro. Maria sorrise, poi affondò
la sua mano nella testa dell’Apostolo in segno di benedizione e sussurrò: “Il Signore sia sulle tue vie; il tuo Angelo
ti accompagni lungo il tuo cammino; la grazia e la consolazione dello Spirito
Santo ti renda Maestro e Pastore del gregge di Cristo, ora e nei secoli”.
Questa benedizione materna ci lasciò un po’ perplessi, ma poi ci rendemmo conto
che non era solo per Pietro, ma per quanti avrebbero occupato il suo posto.
Fece poi capire che voleva Giovanni accanto a
sé. Quando gli fu vicino, gli passò una carezza sulle mani e mormorò: “Figliolo mio, conserva nel tuo cuore quello
che hai visto e ascoltato da Gesù e non dimenticare il testamento che egli ti
ha affidato. Un giorno, in una città che mi resterà cara, verrò a trovarti.
Frattanto, non se ne andrà dal tuo cuore Colei che dal giorno della Croce ti fu
madre”. Giovanni prese la mano di Maria, se l’appoggiò alla guancia e la
baciò.
Le donne intanto, vedendo che la situazione
stava precipitando, le si avvicinarono con l’intenzione di aiutarla o di
proporle un qualche rimedio. Maria aprì gli occhi - fu l’ultima volta - e
guardando Myriam e Maddalena che le stavano a lato: “Dite a tutte le donne che la Chiesa è ‘Vergine’ ed è ‘Madre’. Pregate
Dio e fate in modo che non vengano mai meno nella Chiesa questi due tesori.
Ogni donna che ami il mio Figlio Gesù, saprà essere vergine nel pensiero e nei
desideri, e madre nel suo cuore. E voi non dimenticate quello che Gesù vi ha
raccomandato. Sempre, in ogni cosa, la vostra forza sarà la preghiera e il
sacrificio per amore”.
La notte era già largamente inoltrata; Pietro
e Giovanni recitarono alcuni salmi delle “Ascensioni” e alcune invocazioni di
intercessione. Poi si fece silenzio in tutta la stanza. Fino a quel momento io
m’ero tenuto in disparte, ma non mi rassegnavo all’idea che Maria mi lasciasse
senza dirmi una parola. Alla fine mi sentii come spinto da una voce interiore;
filtrai attraverso gli Apostoli e senza dir nulla mi trovai in ginocchio
accanto al letto di Maria. Le presi la mano in silenzio, ma improvvisamente
prese lei la mia mano stringendola forte come se mi avesse riconosciuto e
volesse dirmi qualcosa. Mi alzai e mi avvicinai al suo volto: “E tu?”, mi sussurrò con un fil di voce
e senza aprire gli occhi, “Figlio mio, tu
starai vicino a Giovanni e lo seguirai; lo aiuterai in tutto come hai fatto con
Gesù. E poi... chiamami! Quando vuoi e in qualunque momento! Chiamami, e io
sarò lì, vicino a te”.
Un nodo alla gola mi impedì di formulare una
sola parola. Avrei voluto baciare quel grembo verginale che mi aveva dato Gesù,
e che in certo qual modo aveva partorito anche me, ma riuscii a trattenermi,
baciai invece quelle mani materne che mi avevano lungamente accudito. Poi
appoggiai la testa sul letto per frenare il mio pianto. In quel momento sentii
la sua mano leggera passare lentamente sulla mia testa, spettinandomi come
tante volte avevano fatto Giuseppe e Gesù. Fu il suo ultimo gesto verso di me,
e coronava così la lunga storia d’amore incominciata con il tenerissimo
abbraccio sulla soglia della sua casa di Nazareth in quel lontano mattino di
primavera.
Da quel momento il suo respiro si fece lento
e impercettibile; un profondo e progressivo assopimento s’impossessò del suo
corpo. Non della sua anima, che rimase sempre presente e lucida. Ce ne rendemmo
conto quando, improvvisamente, la udimmo esclamare lentamente e con chiarezza: “Signore, nelle tue mani affido il mio
spirito!”. Furono le sue ultime parole; il respiro si spense e il suo cuore
si fermò. Era l’alba della prima domenica del mese di Elul.
Gli Apostoli caddero in ginocchio attorno al
suo letto e tutti noi li imitammo. Si fece un lungo silenzio che non era fatto
né di lacrime né di preghiera; era contemplazione. Quella morte infatti non era
la morte, ma un sonno; la morte non aveva vinto su di lei: Maria s’era
“addormentata” nelle braccia di Dio. La sua morte vera, l’aveva già assaporata
sul Calvario: una morte di dolore e di lacrime, una morte nella quale aveva
versato il suo sangue, il sangue divino del Figlio, una morte che l’ha resa per
sempre Madre di redenzione per tutta l’umanità.
128
- La sepoltura di Maria Può sembrare strano, ma davanti a quel letto ricamato sul quale la
Vergine Madre giaceva “dormiente” nessuno di noi si sentì mosso al pianto. Il
volto di Maria, la sua compostezza, erano di tale serenità che infondevano in
tutti noi pace e una particolare gioia interiore. Un pallore delicatamente
rosato irradiava su quel volto la freschezza di una fanciulla; non una ruga
sulla sua pelle, non una piega che indicasse sofferenza e dolore. Le labbra,
chiuse ma non tese, conservavano un colorito vivo, ancora fresco, e accennavano
a un tenue, dolcissimo sorriso. Quella figura ci appariva in tutta la sua
dignità di donna con una bellezza senza tempo: era l’immagine di una fanciulla,
ma con il fascino di una regina.
Nessuno di noi osava parlare di sepolcro;
avremmo voluto conservarla con noi e non interrompere il suo “sonno”. Fu la
madre di Marco a prendere l’iniziativa e nessuno volle contraddire la sua
decisione: “Maria si è addormentata in
questa casa, riposerà perciò nel nostro giardino del Getsemani”. Chiamò i
servi e li mise a disposizione di Lazzaro con l’incarico di recarsi all’orto
degli Olivi a preparare la tomba. Dovevano allestire una delle grotte dandole
l’aspetto di una stanza per il “riposo” di una signora. Gli Apostoli si erano
già recati al Tempio per l’ora terza; il popolo, come sempre, li attendeva ed essi
non vollero mancare. Rimanemmo a vegliare la Madre del Signore, Giovanni, la
Maddalena e io, mentre Maria di Marco sovrintendeva alla casa.
Le sorelle di Lazzaro Marta e Maria, da parte
loro, vollero occuparsi della salma immacolata della Vergine Madre. Il suo
corpo non aveva minimamente l’aspetto di un cadavere, perciò non doveva essere
avvolto in un lenzuolo funebre ma rivestito di una veste regale. Giovanna di
Cusa e le altre donne si recarono nella casa di Betania. Lì erano conservati i
tessuti preziosi con cui dovevano confezionare un abito di gala per Berenice,
moglie di Erode II, che aveva commissionato a Lazzaro la fornitura dei tessuti
e la loro confezione. Invece la morte aveva colto Erode l’anno precedente e i
tessuti erano rimasti inutilizzati. Erano tessuti orientali, finemente
ricamati, trattati con porpora e blu di topazio. L’équipe femminile si mise al
lavoro sotto l’abile guida di Marta e la consulenza di Giovanna, così prima di
sera l’abito era già pronto. Arrivarono a Gerusalemme in tempo per rivestire la
Madre del Signore prima del crepuscolo.
L’operazione non fu difficile perché il corpo
di Maria era rimasto morbido e flessibile. Il vestito la ricopriva totalmente;
le maniche, gonfie alle spalle, andavano restringendosi ai polsi con bordi
dorati. Un girocollo di lino bianco, finissimo, chiudeva in alto il vestito che
poi si accompagnava con la figura di Maria adattandosi ai suoi lineamenti
esili, ancora perfetti e armoniosi. Attorno ai fianchi la fascia azzurra
spiccava sulla porpora della gonna che scendeva fino alle caviglie lasciando
scoperti i piedi che apparivano ancora integri e morbidi come i piedi di una
fanciulla. Per calzarli, Giovanna portò, a sera, due scarpette di lana
ricamate. La Maddalena, da parte sua, s’era occupata dell’acconciatura dei
capelli; li aveva divisi con una discriminatura nel mezzo e lasciati cadere
morbidamente sulle spalle; vi infilò sulla destra due boccioli di rosa mentre
fra le dita delle mani, che posavano incrociate sul petto, depose una splendida
rosa di Gerico colta di fresco dal giardino.
Vista così, Maria appariva come una creatura
non di questo mondo; possedeva l’affascinante bellezza di una innocenza senza
età e insieme il fascino di una regina. Le donne avrebbero voluto ornarla con
monili preziosi, ma Giovanni non lo permise. I gioielli che avevano ornato
Maria erano stati ben altri, erano stati i doni preziosi che Dio aveva messo
nella sua anima, e che sarebbero rimasti una ricchezza per tutti gli uomini.
Vegliammo così per tutta la notte. A turno,
Pietro e gli Apostoli, pregarono in silenzio accanto a Maria “dormiente”. Verso
l’alba si ultimarono i preparativi per il trasporto della salma nella grotta
del Getsemani. Lazzaro e gli inservienti l’avevano preparata e ornata; avevano
chiuso l’ingresso della grotta con un muricciolo lasciando un’imboccatura di
passaggio e la pietra per la chiusura.
Alle prime luci del giorno il nostro corteo
si mosse verso la valle del Cedron. Maria, coperta da un lino, giaceva su una
lettiga recata a spalle dagli Apostoli. Noi seguivamo in silenzio ma con
l’animo pieno di pensieri dove i ricordi, gli interrogativi e le attese si
mescolavano disordinatamente. Io avevo il cuore gonfio e non sapevo con chi
parlare: Giovanni era troppo immerso nei suoi pensieri, le donne e gli altri li
sentivo lontani. Mi trovai accanto a Maddalena che sorprendentemente non
piangeva; mi guardò e mi prese per mano. Dopo un tratto di cammino,
avvicinandosi, mi sussurrò all’orecchio: “So
che cosa provi. Ma non sentirti orfano. Ricordi? ‘In qualsiasi momento,
chiamami e io sarò lì, vicino a te’. Ora ci attendono i cammini della terra;
dobbiamo seminare dappertutto il Vangelo e l’amore di Gesù. E lei camminerà
vicino a noi”.
Arrivammo al sepolcro che era di poco dentro
l’orto del Getsemani. Gli Apostoli sfilarono i paletti dalla stuoia della
lettiga e la passarono a Lazzaro e Filippo che erano entrati nella grotta. Non
accusarono nessuna fatica; il corpo di Maria sembrava leggero come un velo. Lo
adagiarono sulla pietra che poggiava su alcuni sostegni a poche dita dal
pavimento della grotta. Poi tolsero il lino che lo copriva per ammirare
un’ultima volta quel volto tanto amato. La Vergine appariva ancora
perfettamente composta nonostante il trasporto per una strada non agevole
Restammo tutti in silenzio attorno
all’entrata della grotta. Nessuno piangeva. Solo alla fine, la voce commossa di
Pietro ruppe il silenzio: “Sii benedetto,
o Dio, Signore nostro, per averci dato il tuo Figlio diletto da una Madre così
santa, e ti rendiamo grazie per averla colmata dei tuoi doni e della tua
grazia. Ti chiediamo che Ella continui per opera dello Spirito Santo la sua
maternità su di noi e sulla Chiesa. Nel nome del Figlio tuo che siede alla tua
destra nei cieli per i secoli eterni”. Giovanni entrò allora nella grotta,
baciò per l’ultima volta le mani di Maria e la ricoprì con il lino. Uscito con
Lazzaro e Filippo fece cenno di chiudere l’entrata del sepolcro, poi tutti se
ne andarono.
Io, senza rendermene conto, rimasi vicino
alla grotta. Dentro quella grotta era racchiusa tutta la vicenda della mia
vita, e tuttavia sentivo che non potevo dare spazio al rimpianto, perché quella
vicenda in me non era ancora finita. In verità, quella vicenda è una storia che
trascende spazio e tempo. Il tempo e lo spazio sono soltanto un luogo, una
cornice; quella vicenda può essere inscritta nell’esperienza personale di ogni
anima, di ogni luogo e di ogni tempo. Questi pensieri sciolsero improvvisamente
il nodo che mi teneva prigioniero e dilatarono immensamente il mio cuore; mi riempirono
di una pace nuova e di una luce appagante come la felicità.
In quel momento mi sentii chiamare per nome:
Giovanni e Maddalena mi aspettavano per chiudere il giardino. Fu un attimo e
tornai alla realtà del presente. Tuttavia non potei fare a meno di appoggiare
la fronte sulla pietra che chiudeva il “sepolcro” e mormorare lentamente,
assaporandole - le sentivo risuonare dentro la mia anima –, le parole
dell’Angelo e di Elisabetta: “Ave, o
Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Benedetta tu fra le donne e
benedetto il frutto del tuo grembo, Gesù!”.
129
- Il risveglio nella gloria A sera noi della casa di Giovanni ci unimmo con quelli della casa di
Marco per celebrare con gli altri Apostoli la Cena del Signore. Nel pomeriggio
era tornato Tommaso col diacono Nicanore; si preparavano alla partenza per la
Mesopotamia. Non è facile descrivere il disappunto e il vivo dolore di Tommaso
per non essere stato presente al trapasso di Maria, e nemmeno alla sua
sepoltura.
Tommaso, per il suo carattere un po’ cocciuto
e incline al sospetto, non aveva goduto troppa simpatia da parte degli altri
Apostoli, mentre Maria, nella sua inesauribile disponibilità materna, lo aveva
sempre incoraggiato e trattato con affettuosa comprensione. Vedendosi capito e
trattato con tanta paziente amorevolezza, Tommaso si era intensamente
affezionato alla Mamma di Gesù tanto da lasciarsi dire da lei qualsiasi cosa,
così da ascoltarla e obbedirla docilmente come un bambino.
Perciò il fatto di non essere stato presente
agli ultimi momenti della vita terrena di Maria, di non averla potuto salutare
e, per giunta, di non poterla vedere più, gli restava un peso troppo grande, un
fatto inaccettabile. Per questo, il giorno seguente, volle recarsi al
“sepolcro” per vedere per l’ultima volta Colei che lo aveva sempre amato,
capito e difeso, e offrirle un ultimo segno del suo affetto.
Il desiderio di rivedere ancora una volta la
Madre di Gesù accomunò tutti noi alla decisione di Tommaso e scendemmo con lui
al Getsemani. Eravamo al completo: Pietro, Giovanni, Andrea, Matteo, i cugini
di Gesù, Filippo, Mattia, Bartolomeo, Marco, Maddalena, io e tutto il gruppo
delle donne. Sembrava che una voce interiore fosse risuonata nel cuore di tutti
e ci avesse chiamati al Giardino degli Olivi come ad un appuntamento. Il sole
stava affacciandosi dietro al deserto e l’aria fresca del mattino aveva
ridestato in noi un senso di serenità e di gioiosa attesa che a noi stessi
suonava strano dal momento che stavamo andando a visitare un sepolcro. Lazzaro
aveva fatto portare dagli inservienti l’occorrente per rimuovere la pietra.
Varcato l’ingresso del giardino, Giovanni,
che ci precedeva, si fermò improvvisamente, colto da sorpresa e stupore;
guardando verso la grotta gli parve di vederla spalancata senza la pietra che
la sigillava. Spinto dal desiderio di verificare l’accaduto, si mosse correndo
verso la grotta. Effettivamente era vero: il sepolcro si presentava aperto e la
pietra rovesciata. Istintivamente si guardò intorno come per cercare una
risposta, aspettando il nostro arrivo. Solo allora entrò con Pietro nella
grotta. Sulla tavola di pietra giaceva completamente afflosciato l’abito di
Santa Maria, ancora in perfetto ordine, così come aveva rivestito il corpo
della Vergine, con sul petto la rosa di Gerico ancora fresca dalla quale
emanava un profumo celestiale, sconosciuto. Il lino che la ricopriva giaceva
ripiegato a parte sul pavimento. Della salma di Maria, nessuna traccia.
Poco dopo, Giovanni uscì dal sepolcro,
allargò le braccia verso di noi e scosse la testa con l’aria di chi non sapeva
cosa dire o cosa pensare. In realtà un pensiero lo aveva e lo si vedeva
trasparire dagli occhi che gli brillavano di interiore presentimento. Le
analogie col mattino di Pasqua di vent’anni prima erano troppo evidenti. Del resto,
quale poteva essere il destino di colei che aveva generato il vincitore della
morte ed era vissuta in continua comunione col Risorto? Per tutti noi seguirono
momenti di apprensione e di incertezza nei quali le supposizioni, le domande e
i tentativi di risposta si intrecciavano con gli stati d’animo più diversi.
Alla fine venne la risposta, quella che
segretamente tutti noi ci aspettavamo e che mise fine a ogni nostro timore e
inquietudine. Improvvisamente uscirono dal sepolcro due personaggi celesti, dalle
vesti luminose e splendenti, che imposero il silenzio a tutti. Del resto la
loro apparizione ci aveva colti di sorpresa: “Uomini e donne di Galilea, - disse uno di loro - perché cercate tra i morti la Madre del
Vivente? Non dimora nel sepolcro colei che fu dimora dello Spirito Santo, e
dalla quale zampillò la sorgente della vita. Andate in tutto il mondo; ella
brillerà sulla vostra strada come Stella del mattino”. Così dicendo
disparvero, lasciando in noi un sentimento di gioia indicibile e d’immensa felicità.
Ci abbracciammo commossi. Gli Apostoli si
recarono subito al Tempio per lodare Dio e rendergli grazie per le sue
meraviglie. Restammo invece nel Getsemani Giovanni, io, la Maddalena e il
gruppo delle donne. Volevamo ricuperare l’abito di Maria, e adattare la grotta
per farne luogo di preghiera. Si trattenne con noi anche l’apostolo Tommaso che
volle per sé la fascia azzurra che cinse il corpo verginale della Madre del
Signore.
Si giunse così all’ora sesta, in pieno
mezzogiorno. Il sole splendeva alto nel cielo con tutto il suo fulgore. Ci
accingevamo a lasciare il giardino del Getsemani quando un lampo abbagliante
lacerò la luce del giorno, come se l’aria prendesse fuoco. Sorpresi e anche
impauriti, ci guardammo intorno: nulla, nessun segno di qualche fenomeno
strano. Fu Maddalena che, dopo qualche istante, guardando in alto, puntò il
dito verso il sole, con grida di stupore e di meraviglia. Si presentò al nostro
sguardo uno spettacolo impressionante: nel cielo completamente azzurro apparve
un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul
capo una corona di dodici stelle. Tutt’intorno una miriade di luci la
circondava come in un vortice di scintille, ora dorate, ora iridescenti, simili
a gemme preziose che riflettevano bagliori di luce in ogni direzione.
Restammo immobili per lo stupore, quasi
rapiti in un’estasi inebriante, e tuttavia lucidi e consapevoli. Guardavamo
tutto quello splendore senza restarne abbagliati; una gioia straripante
inondava il nostro animo. Poi, con un moto improvviso, quella figura si staccò
dal sole e si avvicinò a noi rivelando tutta la sua bellezza, mentre il canto
di un coro immenso, simile al suono di grandi acque, attraversò il cielo.
Istintivamente, ci stringemmo gli uni agli altri: Giovanni nel mezzo, io da una
parte e la Maddalena dall’altra, quasi a cercare sostegno per reggere l’onda
incontenibile delle nostre emozioni.
Man mano che si avvicinava a noi, quella
figura prendeva l’aspetto della realtà, come se uscisse da una visione o dall’incanto
di una fiaba. Si fermò sospesa nell’aria e la potemmo vedere con chiarezza: era
proprio lei, la Vergine Santa. La sua bellezza era insieme reale e irreale; una
bellezza senza orpelli, pura e pulita come il cielo, come la luce, come gli
occhi di un bambino. Ma anche una bellezza che non ha riscontro con
nessun’altra bellezza creata; indescrivibile nella sua appariscenza esteriore,
affascinante come il mare la sua profondità interiore. Ci guardava sorridendo.
Il suo sorriso penetrava in noi e raggiungeva il nostro cuore trasformandosi in
un’onda travolgente di felicità. Eravamo incapaci di una parola, di un gesto,
di una esclamazione. Come se volesse liberarci da ogni dubbio o esitazione,
Maria si avvicinò a noi dirigendosi verso la grotta-sepolcro e si posò sul
giovane sicomoro che stava di lato, tutto adorno di fiori vermigli. I suoi rami
si incurvarono leggermente e le foglie oscillarono. “Sono io, - pareva volesse dirci - sono proprio io, in carne ed ossa. Non un fantasma o una immagine
irreale! Io, la Madre di Gesù e Madre vostra!”.
Un moto istintivo ci spinse ad avvicinarci a
lei per baciarle i piedi, ma ella si alzò nell’aria, ci sorrise di nuovo, ci
benedisse e prese la via del cielo. Le luci che l’avevano avvolta l’accolsero
nuovamente trasformandosi in un nimbo di piccole nubi luminose, mentre il coro
riprese una melodia dolcissima: “Tota
pulchra es Maria! Tota pulchra! Vieni, mia sposa, vieni! Il re si è invaghito
della tua bellezza, e ti ha prescelta per farti abitare nella sua dimora.
Vieni, o regina! Il re ti ha rivestita di giustizia, con abiti di santità, e ti
ha ornata come sposa con i suoi gioielli. Vieni, mia sposa, vieni!”.
Il canto si spandeva nell’aria e si perdeva
nel cielo, finché tutto, lentamente, si dileguò nel sole e svanì ai nostri
occhi. Restammo a lungo immobili a guardare; non volevamo staccarci da
quell’incanto. Temevamo che finisse. Ed era proprio così, era tutto finito.
Tornammo a casa, e Giovanni mi chiamò per
raccogliere insieme i ricordi di Maria e unirli a quelli di Gesù nella casa che
Nicodemo aveva allestito nel giardino che fu di Giuseppe di Arimatea. Dopo
pochi giorni lasciammo Gerusalemme, e tutti, Apostoli e discepoli, ci mettemmo
sulle strade degli uomini, in tutte le direzioni, verso tutti i continenti.
Ormai si erano aperti davanti a noi “i
cammini divini della terra”.
130 - Saluto a Maria E
così, Madre mia, ti ho visto salire
al cielo. Così hanno avuto compimento i giorni della tua vita terrena. E ora,
io mi trovo qui a condividere l’avventura umano-divina dei figli di Dio nella
Chiesa, la Chiesa sgorgata come famiglia dal cuore aperto del tuo figlio Gesù,
forgiata e animata dalla potenza del tuo Sposo, lo Spirito Santo, e partorita
dal grembo dolcissimo della tua maternità verginale. Ora la nostra famiglia ha
varcato non solo la soglia di Nazareth, ma anche i confini della Giudea, della
Samaria, della Galilea e si è incamminata su tutte le strade del mondo.
Madre mia, nella nostra prima
casa, l’umile abitazione di Nazareth, ho vissuto la dimensione domestica
dell'amore di Dio; lì accanto a te, a Gesù e a Giuseppe, ho vissuto giornate
indimenticabili con la Trinità della terra. L’umanità di Gesù non era soltanto
il luogo dell’Incarnazione del Figlio di Dio, ma anche l’espressione umana
della sua infinita trascendenza. Dio ha voluto adombrare la sua vita trinitaria
che abita i cieli nella vita domestica che tu hai vissuto con Gesù e con
Giuseppe nella casetta di Nazareth. Attraverso l’umanità di Gesù, i cieli e la
terra coabitavano in mezzo a noi. E io ero lì, povera creatura, inconsapevole e
smarrita, minuscolo granello di eternità, ero lì accanto a tanto mistero, a
così grande miracolo.
Madre mia, come potevo io
sapere che entrando nella tua casa, entravo ad abitare in comunione con la
“Trinità della terra”? Che, abbracciandoti, io abbracciavo l’Architriclinium
totius Trinitatis: la “stanza nuziale” della Trinità santissima? Che in
quell’angolo sconosciuto della Galilea, si nascondeva la più grande meraviglia
dell’universo?
Madre mia, ti chiedo ora che
questa vita “nascosta” nel silenzio di Nazareth non rimanga “sconosciuta”. Gli
uomini devono scoprire che quel nascondimento non è un “occultamento” di Dio,
ma la rivelazione che la nostra vita umana può avere una dimensione divina. Non
è proprio di Dio l’occultarsi, è invece proprio di Dio il rivelarsi. Dio non è
inconoscibile, non è irraggiungibile all’esperienza umana. Dio è infinitamente
trascendente, ma non è impartecipabile; è mistero abissale, ma non è il buio
del nulla. Dio è Amore, e l’amore è effusivo, è partecipativo di sé. È nella
natura stessa dell’amore il rivelarsi, il farsi dono.
Il “silenzio” di Nazareth è
l’eloquente e commovente rivelazione del Dio “domestico”, di un Dio che non ci
vuole né estranei, né ospiti, ma familiari, di un Dio che trova la sua delizia
nell’abitare con i figli dell’uomo. Il nascondimento di Nazareth non è silenzio
da parte di Dio, esso ricorda la cecità da parte dell’uomo. Gli uomini non
hanno occhi per vedere il Dio “nascosto” nella dimensione domestica della vita
umana. La casa di Nazareth è stata il luogo dove Dio ha rivelato la dimensione
familiare della sua vita trinitaria. Senza la “Trinità della terra”
difficilmente avremmo potuto conoscere la “Trinità del cielo”.
Ma un giorno, la nostra dimora
di Nazareth si è aperta, e la Trinità della terra si è allargata accogliendo
coloro che Gesù volle chiamare a sé per costituirli Apostoli della salvezza e
della pace. Le strade della Galilea e della Giudea divennero la nostra casa, e
la comunità Apostolica la nostra famiglia. L’umanità santissima di Gesù si è
così rivelata come luogo della misericordia del Padre verso gli uomini. La
Trinità del cielo prendeva le dimensioni di una “comunità di redenzione”
depositaria di una salvezza che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno
realizzato sul Calvario nel sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù.
Madre mia, con te ho lasciato
la casa di Nazareth, con te sono arrivato fino al Calvario dopo essere stato
spettatore e partecipe di infinite meraviglie operate da Dio in Gesù, con te ho
atteso nel Cenacolo il giorno della Chiesa. Nella Pentecoste la Trinità della
terra è diventata un popolo, un popolo senza confini di spazio e senza limiti
di tempo. Nella Chiesa, la Trinità della terra, la comunità degli Apostoli e il
popolo di Dio coabitano in un’unica realtà sulla quale la Trinità del Cielo ha
posto il suo sigillo. Da quel giorno ogni uomo sarà battezzato “nel nome del
Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”; riceverà il segno dello Spirito
“nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”; gli saranno perdonati
i peccati “nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”; sarà
consacrato a servire la vita nel matrimonio e nel sacerdozio “nel nome del
Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”; e soprattutto attraverso il mistero
eucaristico di Cristo morto e risorto, potrà entrare in comunione di vita con
il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo.
Madre mia, dalle strade della
terra che la Chiesa sta percorrendo per portare agli uomini la salvezza e la
pace, noi ti contempliamo nella gloria del cielo. Ti contempliamo glorificata
in corpo e anima, accanto a Gesù nella sua umanità glorificata, e vicina a
Giuseppe, anche lui trasfigurato in corpo e anima nella gloria.
Gesù-Giuseppe-Maria: la Trinità della terra si è ricomposta nella gloria del
cielo, davanti al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Madre cara, è questo l’epilogo
di tutta la nostra vicenda umano-divina che abbiamo vissuto insieme sulla
terra. Questo sarà anche l’epilogo che concluderà la lunga vicenda della Chiesa
attraverso i secoli. Ora nella gloria del Cielo la Trinità della terra non è
più il luogo del Dio “nascosto”, dove la Trinità del Cielo si rivelava nella
luce oscura della fede, ma il luogo dove il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo
dischiudono l’abisso della loro intimità e si comunicano ineffabilmente nella
luce della Gloria.
Trinità del Cielo e Trinità
della terra unite nella Gloria, in attesa di cieli nuovi e terra nuova, dove la
Chiesa, concluso il suo cammino nel tempo, entrerà per sempre, ineffabilmente
partecipe dell’intimità divina, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.
L’assunzione di Maria al cielo
Brano dal libro “In quella casa
c’ero anch’io”
Di Ferdinando Rancan
Qualche lettore disse “Non poteva essere andata che
così”.
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