E' NATO PER NOI UN BAMBINO
Dal libro “La Madonna racconta”
Di
Ferdinando Rancan
Ed.
Fede e Cultura
NOTA
INTRODUTTIVA. In questo libro, che sembra davvero ispirato nonostante l’umiltà
dell’autore lo attribuisca a meditazione costante del Vangelo, è la Madonna
stessa che narra la sua vita, dalla sua gestazione miracolosa per opera dello
Spirito Santo, alla sua “dormitio” cioè all’Assunzione al Cielo in anima e
corpo. La prefazione è del compianto
mons. Luigi Negri, già Vescovo di Ferrara, che conosceva l’autore da anni e lo
stimava molto.
È NATO PER NOI UN BAMBINO
Giorni prima, andando a deporre la
sua iscrizione davanti al pubblico funzionario in ordine al censimento, si era
guardato attorno, si era informato, aveva chiesto a conoscenti e a qualche
lontano parente senza alcuna risposta, aveva perfino pensato di affittare una
tenda ma non riuscì a trovare una soluzione al nostro problema. D’altra parte i
sintomi del parto erano ormai evidenti e tutto poteva accadere da un momento
all’altro.
Fu allora che lo vidi entrare in un
profondo raccoglimento: si sedette, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, la
fronte sulle dita incrociate, gli occhi socchiusi come se proteggessero i moti
dell’animo, e un silenzio interiore, irraggiungibile dal chiasso e dal confuso
vociare del caravanserraglio, proteggeva la sua preghiera che certamente fluiva
dal suo cuore e che io percepivo per averlo sperimentato tante volte, vivendo
accanto a lui. Sentivo infatti che il Signore lo stava ascoltando e lo stava
illuminando.
D’altra parte, alla luce di quella preghiera, Giuseppe e io avevamo maturato la convinzione che non furono tanto gli uomini a chiuderci la porta in faccia quanto piuttosto una precisa volontà di Dio che, come sempre, conduceva gli avvenimenti a modo suo. Come infatti nessuno sapeva né poteva sapere come Gesù era sbocciato nel mio grembo, così nessuno doveva assistere alla sua nascita, perché quel parto era un segreto di Dio, della sua onnipotenza, e solo il cielo e gli Angeli potevano esserne testimoni.
Giuseppe, dunque, raccolte le poche
cose che avevamo portato con noi, (non mancarono i panni e le fasce che
sarebbero servite all’occorrenza) sellò il nostro asinello e senza dilungarsi
in saluti e spiegazioni, ci accomiatammo dalle persone e lasciammo il caravanserraglio.
Dovevamo approfittare degli ultimi raggi del sole per trovare ancora una
soluzione idonea alle necessità di quel momento. Ancora una volta l’intuito di Giuseppe – e
sicuramente l’aiuto dei nostri Angeli – ebbe un provvidenziale successo: prendemmo
il declivio che da fuori Betlemme porta alla strada per Ebrom, ed ecco, lì,
sotto una cengia, una grotta ampia e sicura che sembrava fatta proprio per
noi.
Giuseppe mi fece attendere un po’ lì
fuori, aiutandomi a sedere su una sporgenza della roccia coperta di morbido
muschio, mentre lui si accingeva, con un rastrello trovato lì dentro e una
scopa di rami secchi allestita alla buona, a ripulire alla meno peggio
l’abitacolo. All’improvviso il fruscio della scopa venne interrotto da un forte
muggito proveniente dal fondo buio della grotta. Giuseppe prese la lanterna, si
avvicinò, e vide un placido bue, comodamente sdraiato, che ci voleva dare, a
modo suo, il benvenuto. Collocammo lì accanto anche il nostro asinello mentre
Giuseppe si affrettò a preparare con del fieno fresco e profumato trovato in un
angolo della grotta, sul quale aveva steso il suo mantello, una specie di
lettuccio sul quale mi adagiai con evidente sollievo. Anche Giuseppe, alla fine, stanco, ma
soddisfatto dell’abitacolo ben ripulito e intiepidito dal calore dell’animale,
si riposò lì accanto e si addormentò.
Proprio lì, nel cuore della notte, ci fu
dato Gesù.
Figlio mio e figlia mia, chi mai
potrà dirvi, e io stessa come potrei descrivervi quello che accadde in quella
notte? Nel silenzio di tutto il creato quella grotta mi apparve come il centro
dell’universo. Avevo sentito il Bambino sussultare nel mio ventre e poi,
all’improvviso, non so come, me lo vidi tra le braccia, nudo ma pulito e
profumato, come se fosse uscito da un bocciolo di rosa. Lo accarezzai e lo
strinsi fra le mani che tremavano di commozione, quasi per assicurarmi che era
vero. Era proprio un Bambino, in carne ed ossa, morbido come un batuffolo.
Giuseppe avvicinò la lanterna per illuminarlo da vicino: ci fermammo a
contemplarlo in silenzio, con gli occhi lucidi e il cuore che batteva forte.
Non trovammo parole, ma i nostri sguardi che si incontrarono pieni di stupore e
di meraviglia, e il nostro sorriso che traboccava di felicità, dicevano molto
più di quanto potevano le parole. Passarono alcuni istanti, intensi e
dolcissimi, poi Giuseppe ripose la lanterna e prendendo nelle sue braccia con
forza e delicatezza me e il Bambino: “Maria cara, sussurrò, è Gesù! Il nostro
Gesù! Ed è stupendo! Bellissimo...! Grazie, amore mio!”
A questo punto il Bambino emise il
primo vagito; era il suo saluto, il suo “Eccomi!”. Lo coprii con i panni di
lino e lo avvolsi nelle fasce con ogni cura e con un po’ di trepidazione, come
chi prendeva per la prima volta tra le mani una creatura appena nata. Gesù si
lasciò fare con incantevole docilità mentre Giuseppe si dedicava a trasformare
la mangiatoia in una culla. Improvvisamente, come d’impulso, presi il Bambino e
lo avvicinai alla mia guancia: pelle con pelle, era un contatto che parlava il
linguaggio dell’intimità intensamente gratificante che è propria esclusivamente
della madre con la sua creatura. Gesù strisciò per qualche istante la sua
guancia sulla mia, poi istintivamente aprì le sue piccole labbra come per
cercare qualcosa: era la sua prima richiesta di Bambino appena nato. Allora
scoprii i miei seni che si erano fatti turgidi e caldi e li avvicinai alla sua
bocca. Egli si aggrappò al seno più vicino e cominciò a succhiare aprendo i
suoi occhi di neonato verso di me.
Come potrei manifestare l’emozione, i
pensieri, i sentimenti che inondavano l’anima mia in quei momenti? Erano, sì, i
moti inesprimibili dell’animo che ogni donna prova quando stringe per la prima
volta tra le sue mani la sua creatura… sente che ha ricevuto un dono immenso,
un tesoro che non ha prezzo e che le viene affidato come un regalo prezioso
tutto per lei; tuttavia quel “dono” che
stringevo al mio petto non era un Bambino come gli altri bambini, era un dono
specialissimo, in un senso molto più profondo e unico. Non l’avevo infatti
scelto né voluto io, era stato lui a scegliere me, a volermi come madre sua.
Sentivo che lui mi apparteneva ma che anch’io gli appartenevo come nessun’altra
madre al mondo.
L’unico sentimento che poteva
contrastare all’immensa felicità che fluiva dentro di me riguardava il mio
amato Giuseppe. Il pericolo che egli non si sentisse partecipe, anzi, quasi
estraneo, a quanto avveniva in me era un’insidia alla pienezza della mia gioia.
Volli dissipare questo timore, e guardando Giuseppe con un sorriso pieno di
affetto distesi le braccia verso di lui e gli offrii il Bambino: Gesù non era
solo per me ma anche per lui, era anche suo, e non doveva quindi sentirsi
soltanto “custode” di Gesù, ma anche “padre”, di una paternità che veniva dal
Cielo. Giuseppe prese il Bambino, se lo strinse al petto e guardandomi, ripeté
con voce commossa: “È il nostro Gesù! È il nostro Gesù! Grazie, Amore mio!”.
Tuttavia questi sentimenti che
riguardavano la mia persona e quella di Giuseppe si mescolavano con altri sentimenti
che mi venivano da lontano e mi portavano lontano. Così ritornavano alla mia
mente le parole del Profeta Isaia coniugate al plurale: “Un Bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… egli porta con sé
i segni della sovranità e viene invocato con nomi che nessuno può vantare:
Consigliere mirabile, Dio potente, Principe della pace…”. Pensando a queste
parole i miei occhi si velarono, la grotta dove eravamo non c’era più, era
diventata il centro dell’universo e vedevo nel Bambino Gesù che tenevo tra le
braccia un dono per tutte le Nazioni della terra. Su di lui si concentravano
tutte le attese, le speranze, i desideri dell’umanità. Il mio Bambino non era
solo per me, era per tutti i popoli della terra. Questi pensieri andavano e
venivano dentro di me e si trasformavano in espressioni di adorazione, di lode,
di amore, di rendimento di grazie…
Nel silenzio del creato voci
celestiali si dissolvevano sui campi e sui monti di Betlemme e richiamarono
l’attenzione di Giuseppe che uscì dalla grotta per ascoltare la notte. Nel
cielo turchino un tripudio di stelle esultava di gioia e di stupore. “Sono gli
occhi degli Angeli, pensò, che contemplano il commovente mistero di questa
grotta che è diventata il cuore del mondo. E lo sentii sussurrare una preghiera
impregnata di meraviglia e di lode al Signore. D’improvviso egli rientrò con
aria sospetta. Sta arrivando qualcuno, mormorò. Ma subito si ricompose e con un
tono calmo e sereno: “Sono certamente Angeli buoni, continuò, non dobbiamo
temere!”. Dai recinti infatti che custodivano i greggi, cominciarono ad
accendersi silenziose lanterne che muovevano lentamente verso la grotta
disegnando sentieri di luce nell’aria notturna che si era fatta tiepida e
dolce. Attirati dalla luce della grotta si presentarono a noi, stupiti e quasi
increduli davanti al Bambino e davanti a me che non accusavo nessun sintomo di
un parto appena concluso.
Che uomini stupendi quei pastori! Tipi
rudi, forti, ma di una semplicità incantevole che li ha portati a credere nel
Bambino e ad adorarlo. Erano persone che non godevano di alcun credito presso
gli uomini che contano, ma erano graditi a Dio. Nei loro volti c’era la
meraviglia per ciò che si presentava ai loro occhi ma anche la gioia per una
certezza che liberava il loro cuore da ogni dubbio e da ogni timore. “Si,
dicevano tra loro, il Cielo non ci ha ingannati! Questo Bambino è per noi. Il
Signore è venuto a liberarci!”.
Anche quella grotta spalancata sotto
i cieli e lontana dalle città degli uomini, faceva riferimento a tutti i luoghi
della terra e a tutti i tempi dell’uomo e parlava della disponibilità di Dio.
Se Gesù fosse nato nella reggia di un re (era infatti di stirpe regale) chi
avrebbe potuto visitarlo? E se fosse nato nella casa dei potenti e dei sapienti
del mondo, chi avrebbe potuto avvicinarlo? E se fosse nato in un albergo, o
nella casa di un privato, chi lo avrebbe cercato? Quella grotta dunque, mi
appariva come un grembo materno aperto sul mondo che offriva quel dono immenso
del Cielo, il mio Bambino, all’umanità intera perché ogni uomo che percorre il
sentiero dell’umiltà e della semplicità possa trovare in lui la salvezza e la
pace.
Vedendo quei pastori ho capito che
il Bambino che io tenevo nelle mie braccia non era solo mio, né soltanto per
me. Apparteneva ad ogni uomo, era per tutti i popoli della terra. Quel Bambino
era dunque anche tuo, è venuto anche per te. Se hai la semplicità e l’umiltà
dei pastori lo puoi prendere in braccio, cullarlo e dirgli le parole affettuose
che il tuo cuore ti ispira, ma anche adorarlo, benedirlo, invocarlo come tuo
Redentore col nome dolce di “Gesù mio e Dio mio”. Al pensiero che Gesù è anche
tuo e può esserlo per ogni uomo che voglia incontrarlo, anche oggi come in
quella notte la mia anima si riempì di gioia.
a richiesta, lo spedisce a domicilio.
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