Cari
amici,
Questo
suo libro, però, si deve notare bene, è diverso da tutti gli altri, perché qui
è la Madonna stessa che parla, che descrive, che si muove, che da spiegazioni,
che apre il suo cuore ai suoi figli ecc. come se fosse lei stessa a raccontare
la sua vita (dal titolo appunto “La Madonna racconta”) e per questo viene considerato
da molti lettori, un libro “ispirato”, e comunque in piena fedeltà con il
Vangelo e la Tradizione della Chiesa, a maggior ragione perché confermato
dall’imprimatur di S. Ecc.za il compianto mons. Luigi Negri che ne ha curato la
presentazione.
Come
infatti appare dal brano qui sotto allegato, sembra che l’autore, cioè la
Madonna stessa che parla, consapevole di essere rimasta incinta in modo
miracoloso e misterioso agli occhi umani, non si stupisse più di tanto nel
trovarsi il Bambino Gesù tra le sue braccia, “uscito” diciamo miracolosamente
dal suo grembo senza intaccare la sua verginità e i tessuti interni. Così come
avvenne per il lenzuolo della Sindone che non venne affatto lacerato
dall’uscita del corpo risuscitato di Gesù ma lo oltrepassò, come fa un raggio
di luce attraverso un cristallo.
Spiegazione
scientifica? Le ultime scoperte sempre più sofisticate sul lenzuolo della
Sindone, lo confermano, tuttavia dobbiamo ricordare che Gesù è il Signore, è il
nostro Dio Onnipotente fatto Uomo per noi, il quale può compiere tutti i
miracoli e le meraviglie che vuole, anche incomprensibili all’intelletto umano
(cosa c’è di più strepitoso dell’Universo con le sue Galassie?). Ciononostante
Egli ha un tale grande rispetto per la nostra povera natura e mente umana, che sembra
voglia compiere miracoli che prima o poi, vengono confermati anche dalla
ricerca scientifica, quasi per volerci dare le prove anche tangibili della Sua
maestà divina e indurci ad adorarlo non solo col cuore (Fides) ma anche con la
mente, (Ratio). Come da meravigliosa enciclica di San Giovanni Paolo II “Fides
et Ratio” che tutti dovremmo aver letto almeno una volta nella vita.
È NATO PER NOI UN BAMBINO
Dal libro “La Madonna Racconta”
di don Ferdinando Rancan
Quella sera Giuseppe non riusciva a
nascondere la sua preoccupazione; per un momento lo vidi anche avvilito e
amareggiato. Non erano da lui questi atteggiamenti, mai lo vidi così seriamente
pensoso, quasi paralizzato dal dubbio e dall’incertezza davanti a una
situazione difficile. Certamente quella sera pesava molto su di lui la
stanchezza: aveva camminato tutto il giorno di casa in casa per reperire un
alloggio, anche piccolo ma discreto e con un minimo di confort per la nascita
del Bambino, ma inutilmente.
Giorni prima, andando a deporre la
sua iscrizione davanti al pubblico funzionario in ordine al censimento, si era
guardato attorno, si era informato, aveva chiesto a conoscenti e a qualche
lontano parente senza alcuna risposta, aveva perfino pensato di affittare una
tenda ma non riuscì a trovare una soluzione al nostro problema. D’altra parte i
sintomi del parto erano ormai evidenti e tutto poteva accadere da un momento
all’altro.
Fu allora che lo vidi entrare in un
profondo raccoglimento: si sedette, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, la
fronte sulle dita incrociate, gli occhi socchiusi come se proteggessero i moti
dell’animo, e un silenzio interiore, irraggiungibile dal chiasso e dal confuso
vociare del caravanserraglio, proteggeva la sua preghiera che certamente fluiva
dal suo cuore e che io percepivo per averlo sperimentato tante volte, vivendo
accanto a lui. Sentivo infatti che il Signore lo stava ascoltando e lo stava
illuminando.
Lasciò infatti passare alcuni
minuti, poi si alzò con decisione, mi guardò col volto rilassato e sereno, mi
passò una carezza sul capo e aiutandomi ad alzarmi: “Su – disse –dobbiamo
andarcene di qui”. La nascita del nostro Bambino non poteva avvenire lì, in
mezzo alla confusione, alla sporcizia, al disordine di un caravanserraglio,
sotto gli sguardi incuriositi di estranei che non avrebbero capito quale
significato poteva avere quella nascita e chi era quel Bambino che veniva alla
luce in quel modo così singolare. Meglio un rifugio naturale, lontano
dall’indifferenza e dalla vana curiosità della gente, protetti dai nostri
angeli e custoditi dalla provvidenza del cielo.
D’altra parte, alla luce di quella
preghiera, Giuseppe e io avevamo maturato la convinzione che non furono tanto
gli uomini a chiuderci la porta in faccia quanto piuttosto una precisa volontà
di Dio che, come sempre, conduceva gli avvenimenti a modo suo. Come infatti
nessuno sapeva né poteva sapere come Gesù era sbocciato nel mio grembo, così
nessuno doveva assistere alla sua nascita, perché quel parto era un segreto di
Dio, della sua onnipotenza, e solo il cielo e gli Angeli potevano esserne
testimoni.
Giuseppe, dunque, raccolte le poche
cose che avevamo portato con noi, (non mancarono i panni e le fasce che
sarebbero servite all’occorrenza) sellò il nostro asinello e senza dilungarsi
in saluti e spiegazioni, ci accomiatammo dalle persone e lasciammo il
caravanserraglio. Dovevamo approfittare degli ultimi raggi del sole per trovare
ancora una soluzione idonea alle necessità di quel momento. Ancora una volta l’intuito di Giuseppe – e
sicuramente l’aiuto dei nostri Angeli – ebbe un provvidenziale successo:
prendemmo il declivio che da fuori Betlemme porta alla strada per Ebrom, ed
ecco, lì, sotto una cengia, una grotta ampia e sicura che sembrava fatta
proprio per noi.
Giuseppe mi fece attendere un po’ lì
fuori, aiutandomi a sedere su una sporgenza della roccia coperta di morbido
muschio, mentre lui si accingeva, con un rastrello trovato lì dentro e una
scopa di rami secchi allestita alla buona, a ripulire alla meno peggio l’abitacolo.
All’improvviso il fruscio della scopa venne interrotto da un forte muggito
proveniente dal fondo buio della grotta. Giuseppe prese la lanterna, si
avvicinò, e vide un placido bue, comodamente sdraiato, che ci voleva dare, a
modo suo, il benvenuto. Collocammo lì accanto anche il nostro asinello mentre
Giuseppe si affrettò a preparare con del fieno fresco e profumato trovato in un
angolo della grotta, sul quale aveva steso il suo mantello, una specie di
lettuccio sul quale mi adagiai con evidente sollievo. Anche Giuseppe, alla fine, stanco, ma
soddisfatto dell’abitacolo ben ripulito e intiepidito dal calore dell’animale,
si riposò lì accanto e si addormentò.
Proprio lì, nel cuore della notte, ci fu
dato Gesù.
Figlio mio e figlia mia, chi mai
potrà dirvi, e io stessa come potrei descrivervi quello che accadde in quella
notte? Nel silenzio di tutto il creato quella grotta mi apparve come il centro
dell’universo. Avevo sentito il Bambino sussultare nel mio ventre e poi,
all’improvviso, non so come, me lo vidi tra le braccia, nudo ma pulito e
profumato, come se fosse uscito da un bocciolo di rosa. Lo accarezzai e lo
strinsi fra le mani che tremavano di commozione, quasi per assicurarmi che era
vero. Era proprio un Bambino, in carne ed ossa, morbido come un batuffolo.
Giuseppe avvicinò la lanterna per illuminarlo da vicino: ci fermammo a
contemplarlo in silenzio, con gli occhi lucidi e il cuore che batteva forte.
Non trovammo parole, ma i nostri sguardi che si incontrarono pieni di stupore e
di meraviglia, e il nostro sorriso che traboccava di felicità, dicevano molto
più di quanto potevano le parole. Passarono alcuni istanti, intensi e
dolcissimi, poi Giuseppe ripose la lanterna e prendendo nelle sue braccia con
forza e delicatezza me e il Bambino: “Maria cara, sussurrò, è Gesù! Il nostro
Gesù! Ed è stupendo! Bellissimo...! Grazie, amore mio!”
A questo punto il Bambino emise il
primo vagito; era il suo saluto, il suo “Eccomi!”. Lo coprii con i panni di
lino e lo avvolsi nelle fasce con ogni cura e con un po’ di trepidazione, come
chi prendeva per la prima volta tra le mani una creatura appena nata. Gesù si
lasciò fare con incantevole docilità mentre Giuseppe si dedicava a trasformare
la mangiatoia in una culla. Improvvisamente, come d’impulso, presi il Bambino e
lo avvicinai alla mia guancia: pelle con pelle, era un contatto che parlava il
linguaggio dell’intimità intensamente gratificante che è propria esclusivamente
della madre con la sua creatura. Gesù strisciò per qualche istante la sua
guancia sulla mia, poi istintivamente aprì le sue piccole labbra come per
cercare qualcosa: era la sua prima richiesta di Bambino appena nato. Allora
scoprii i miei seni che si erano fatti turgidi e caldi e li avvicinai alla sua
bocca. Egli si aggrappò al seno più vicino e cominciò a succhiare aprendo i
suoi occhi di neonato verso di me.
Come potrei manifestare l’emozione, i
pensieri, i sentimenti che inondavano l’anima mia in quei momenti? Erano, sì, i
moti inesprimibili dell’animo che ogni donna prova quando stringe per la prima
volta tra le sue mani la sua creatura… sente che ha ricevuto un dono immenso,
un tesoro che non ha prezzo e che le viene affidato come un regalo prezioso
tutto per lei; tuttavia quel “dono” che
stringevo al mio petto non era un Bambino come gli altri bambini, era un dono
specialissimo, in un senso molto più profondo e unico. Non l’avevo infatti
scelto né voluto io, era stato lui a scegliere me, a volermi come madre sua.
Sentivo che lui mi apparteneva ma che anch’io gli appartenevo come nessun’altra
madre al mondo.
Dal libro
“La Madonna racconta”
di
donFerdinando Rancan
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