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martedì 4 marzo 2025

I QUARESIMALI E IL TEMPO PASQUALE (segue con le puntate...)

I QUARESIMALI

Riflessioni su “Il tempo pasquale e la Quaresima”

di Ferdinando Rancan

 

Introduzione

 

In questo periodo dell’Anno Liturgico che precede la Pasqua, definito “Quaresima”, la Chiesa ha sempre consigliato ai vari sacerdoti, parroci o religiosi, di preparare i fedeli attraverso predicazioni sul mistero della Passione di Gesù Cristo completate da preghiere e benedizioni, dette appunto “quaresimali” della durata di 40 giorni prima della festa della Santa Pasqua.

            Il numero “quaranta” ricorre spesso nella Sacra Scrittura: per 40 giorni Gesù rimase nel deserto a pregare in vista della sua passione; 40 giorni furono i giorni di durata del diluvio universale; 40 giorni fu il periodo in cui Mosè rimase in preghiera sul monte Sinai; il profeta Elia percorse il deserto per 40 giorni; l’esodo degli ebrei dall’Egitto alla terra promessa durò circa 40 anno ecc. ecc.

            Abbiamo pensato con l’occasione, di offrire ai nostri amici la lettura di alcuni scritti su questo argomento, di don Ferdinando Rancan, sacerdote diocesano in concetto di santità, che molti di voi hanno già conosciuto e apprezzato, anche se mai conosciuto in vita.

I brani che seguono sono stati copiati dal libro “La moneta del tempo” un calendario per l’anima, nel quale l’autore presenta e approfondisce il significato dell’anno liturgico che inizia col periodo di “Avvento” in preparazione al Natale, prosegue con le varie festività Liturgiche come la Pasqua, la Pentecoste, la Santissima Trinità, il Corpus Domini… e termina con la solennità di tutti i Santi e la festa di Cristo Re dell’Universo, ma si sofferma anche nel descrivere il significato di ogni giorno della settimana, in particolare della Domenica, con le varie devozioni ad essi attribuite e il loro collegamento con la Sacra Scrittura.

I Santi sono d’accordo nell’affermare l’importanza che ha una buona lettura spirituale fatta quotidianamente, magari solo per 10/15 minuti, però con costanza, soprattutto del Vangelo, perché si rischia altrimenti di rimanere con una formazione da bambini della Prima Comunione (ammesso che sia stata fatta bene anche questa preparazione coi tempi che corrono!), e poi si pretende di dare un giudizio su tutto ciò che accade nella Chiesa, anche dal punto di vista spirituale e teologico!! quando alla base della nostra formazione c’è spesso lo zero assoluto o l’ignoranza più evidente quando non anche la malafede nel giudicare fatti e persone che magari non spiccano per la loro santità. E’ come pretendere di spiegare le leggi della fisica quantistica con il diploma di terza media, eppure tutti o quasi si ritengono in grado di salire in cattedra e spiegare il perché della vita e della morte, del peccato e della redenzione, ecc. ecc.

Anche questo libro, come quasi tutti quelli di don Rancan, è chiaro, profondo ma anche semplice nella sua esposizione e ha il privilegio di riempire il cuore di gioia mano a mano che lo si legge perché come dice Gesù, “La Verità ci fa liberi” e la libertà rende felici.

Reperibile presso la Casa Editrice “Fede e Cultura” di Verona che lo invia a domicilio (tel. 045/941851).  Auguriamo a tutti buona lettura che ci permetta di conoscere non tanto una dottrina più o meno impegnativa, per quanto avvincente e affascinante, ma una figura umana-divina che ci ama personalmente, che ha dato la vita per ognuno di noi, che continuerebbe a darla nel modo più cruento per salvarci dal fuoco eterno dell’inferno, e questa figura meravigliosa si chiama GESU’ CRISTO.  Se non lo conosciamo, neppure possiamo seguire la sua dottrina e pertanto non possiamo dirci cristiani. Fare l’esperienza personale di Gesù come Uomo-Dio e di quanto ci ama, è stato spesso motivo della conversione dei più grandi Santi.  Buona lettura e buona Quaresima.

 

 

IL TEMPO PASQUALE

 

N. 1     – Il mercoledì delle Ceneri

 

Il tempo pasquale comprende tre momenti liturgici di grande intensità: la Quaresima, la Pasqua, la Pentecoste.

La Quaresima ci chiama alla conversione e alla lotta contro tutto ciò che nella nostra vita si oppone a Dio; la Pasqua celebra la passione, morte, risurrezione del Figlio di Dio fatto uomo, il quale ci ha amati e ha dato sé stesso per noi; la Pentecoste ci comunica i frutti della Pasqua, cioè lo Spirito Santo e la Chiesa. E' un periodo di quattordici settimane, e risulta dalla dilatazione progressiva della Veglia pasquale che veniva celebrata con grande solennità nelle prime comunità cristiane.

            La Quaresima inizia nel Mercoledì delle Ceneri con un austero rito penitenziale. Le ceneri, ottenute per incenerimento dei ramoscelli d'olivo, hanno avuto fin dall'antichità un significato penitenziale. "Sedere nella cenere" significava riconoscere la propria povertà e la propria nullità. La Chiesa utilizza questo significato imponendoci le ceneri sul capo per aiutarci ad abbandonare ogni nostra superbia. Si sa, la superbia è la radice di ogni peccato e perciò è il più radicato dei vizi umani. Si dice che la superbia muore un giorno dopo la nostra sepoltura ed è così connaturata al nostro animo da non poterla riconoscere e smascherare senza l'aiuto della grazia di Dio.

            Inoltre, ce ne dimentichiamo così facilmente che la Chiesa nel rito delle Ceneri quasi ci invita a metterci davanti alla nostra tomba dicendoci: "Ricordati che sei cenere, e in cenere ritornerai!". La Chiesa nel ricordarci la poca cosa che siamo non intende scoraggiarci nei nostri progetti di bene o nei nostri sforzi nobili e coraggiosi di impegno in questo mondo come se proclamasse l'inutilità di tutto ciò che facciamo, vuole semplicemente invitarci a deporre ogni superbia, ogni considerazione falsa e disordinata di noi stessi, ogni appropriazione ingiusta dei doni di Dio come se fossero merito nostro di cui gloriarci davanti agli uomini.

            La superbia non solo ci impedisce di riconoscere Dio e quindi di orientare verso di Lui la nostra vita (conversione), ma ci impedisce anche di riconoscere i nostri peccati e quindi di pentircene e di emendarli con la penitenza. La superbia è il vero nemico dell'anima ed è l'unico peccato che ci fa somiglianti a Lucifero. Perciò la Chiesa imponendoci le Ceneri ci invita all'umiltà e ci addita il cammino penitenziale della Quaresima, che si può riassumere nelle tre indicazioni che Gesù stesso ci ha dato: preghiera, elemosina e digiuno.

            La preghiera è l'aprirsi dell'anima a Dio: è la conversione, l'inizio della fede; l'elemosina è il dischiudersi del cuore verso il prossimo: è la misericordia con le sue opere, segno certo della contrizione del cuore, “l'elemosina - infatti - copre la moltitudine dei peccati"; il digiuno è il dischiudersi del corpo e dei nostri sensi alla riparazione: è la penitenza.

            In tutto questo occorre la sincerità interiore. Proprio nel giorno delle Ceneri, parlandoci della preghiera, del digiuno e dell'elemosina, il Signore nel Vangelo ci mette in guardia dall'ipocrisia. Gesù parla dell'ipocrisia di fronte agli uomini, ipocrisia che ci porta ad agire tenendo conto del giudizio e del plauso umano, ma essa nasce dall'ipocrisia interiore, quella che ci porta alla penitenza, alla preghiera e alle opere buone ma senza una vera umiltà, senza una lotta sincera contro tutto ciò che ci allontana da Dio, e senza il fermo proposito di usare i mezzi idonei per una vera conversione.

Presentandoci Gesù lottatore contro il maligno, la Liturgia ci invita ad una più rigorosa austerità nella vita, ad essere più forti nel respingere il male e più decisi nel volere il bene. La società del benessere e del facile consumismo in cui viviamo, ci ha resi tutti più fragili, più deboli, più restii al sacrificio e all'impegno. All'inizio della Quaresima ci viene estremamente opportuno ricordare l'avvertimento di Gesù: il Regno dei Cieli esige "violenza" e solo i violenti lo possono conquistare.

 

                                                           (don Ferdinando Rancan)

                                                                   prima parte

 

N. 2-   – L’itinerario quaresimale

 

La Quaresima assunse così il significato di un cammino verso la Pasqua con riferimento soprattutto al Battesimo. Particolari esercizi penitenziali erano previsti per due categorie di persone: i catecumeni e i penitenti. La Quaresima dei catecumeni era pre-battesimale e aveva lo scopo di preparare al battesimo i convertiti attraverso un'assidua catechesi sulle verità della fede cristiana e una purificazione della condotta che garantisse il cambiamento di vita dalle abitudini pagane.

            La Quaresima dei penitenti era post-battesimale ed era ordinata alla riconciliazione dei pubblici peccatori che, allontanati dalla comunità per la loro condotta, venivano sottoposti a pubblica penitenza, in "cenere e cilicio", prima di essere ammessi a partecipare all'Eucarestia; la riconciliazione avveniva appunto nel giovedì santo.

            Per noi oggi la Quaresima potrebbe rivestire spiritualmente ambedue i significati: catecumenale e penitenziale. Noi abbiamo già ricevuto il battesimo, ma la ricchezza di questo sacramento è tale da non essere mai esaurita; tutta la vita cristiana è vita battesimale e si configura come un progressivo sviluppo della grazia e della vita divina ricevute nel battesimo. Inoltre, il battesimo è anche il sacramento della fede, e la fede è suscitata in noi dalla Parola di Dio. Ora, la Parola di Dio richiede un continuo ascolto interiore senza il quale la fede battesimale rimarrebbe come un seme inaridito e infecondo. La stessa santità cristiana non è che la pienezza della vita battesimale. Ogni cristiano è perciò un battezzato e insieme un catecumeno.

            L'aspetto catecumenale della Quaresima giustifica la centralità e l'importanza della Parola di Dio durante questo tempo liturgico. Troppi cristiani sono rimasti allo stadio infantile nella loro formazione religiosa o non hanno saputo assimilare né approfondire quello che hanno ricevuto; per molti, poi, la contro-catechesi delle teorie laiciste e della mentalità secolarizzata, così abbondantemente dispensata dai mass-media, si è sovrapposta alla prima semina del Vangelo nella loro anima fino a rendere l'insegnamento di Cristo completamente ininfluente sulla loro vita. Per molti battezzati è perciò necessaria una rievangelizzazione, e comunque per tutti noi è indispensabile un ascolto più sincero e interiore della Parola di Dio. Ci serve perciò un accostamento umile e profondo alla catechesi della Chiesa per alimentare quella fede ricevuta nel battesimo, fede che dev’essere tanto più forte ed efficace quanto più lontano da essa, e spesso ostile, è l'ambiente in cui dobbiamo viverla e testimoniarla.

            L'aspetto penitenziale della Quaresima interessa ugualmente tutti i cristiani. La nostra prima conversione, e lo stesso sacramento del battesimo, non hanno tolto dalla nostra anima le radici del peccato, né hanno spento le inclinazioni al male; esse restano in noi e sono la causa di tanti nostri cedimenti, debolezze e peccati personali. Siamo dunque tutti peccatori, bisognosi di penitenza e di continua conversione. La Quaresima si caratterizza così come "tempo forte", tempo di lotta e di impegno ascetico. E' una lotta che si conduce su più fronti, perché il male non è solo dentro di noi, conta anche alleati esterni che agiscono nel mondo come nemici di Dio: il demonio e lo spirito mondano.

                                                           Da  “La moneta del tempo”

                                                           di don Ferdinando Rancan

                                                                 seconda parte

  

n. 3.   LA PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA

 

            La Prima domenica di Quaresima ci presenta subito la figura di Cristo come lottatore: affronta il demonio che lo aggredisce con le sue tentazioni. Gesù subì soltanto tentazioni esterne dal momento che la sua perfetta integrità morale e la sua assoluta santità non erano compatibili con il disordine della concupiscenza e con le inclinazioni al male - tentazioni interne - che caratterizzano la nostra condizione di peccatori: “Fu in tutto simile a noi tranne che nel peccato" dirà San Paolo. Gesù tuttavia volle essere tentato dal diavolo per due motivi: primo, per riparare la nostra sconfitta. Il demonio infatti travolse i nostri progenitori con le sue suggestioni; ora egli continua ad agire nel mondo e, non potendo far nulla contro Dio, si accanisce contro l'uomo, cioè contro la creatura che porta il sigillo e l'immagine di Dio. Gesù mettendosi al nostro posto sostituì la nostra sconfitta con la sua vittoria. Secondo motivo, volle essere tentato per insegnarci come dobbiamo lottare e vincere nelle nostre tentazioni. Innanzitutto egli ci insegna a smascherare l'inganno. Ogni tentazione è essa stessa un inganno, è il tentativo di far apparire come bene ciò che non lo è, di farci credere che troveremo la felicità in ciò che appaga la nostra superbia e la nostra concupiscenza anche se offende Dio e va contro la sua volontà. Il demonio usa le cose buone per tentarci al male, così come ha usato la Parola di Dio per tentare Gesù.

In secondo luogo, Gesù ci insegna a non discutere con la tentazione; egli semplicemente la respinge. Il primo cedimento sta nel dialogare con il nemico; occorre invece prevenire, fuggire le occasioni, resistere prontamente e con decisione spegnendo le prime avvisaglie di suggestione.

            In ogni caso occorre conservare una grande fiducia in Dio che non ci lascia mai soli nella prova, e una serenità interiore che ci mantenga la lucidità di coscienza. La tentazione, per quanto violenta, sfacciata e accompagnata da turbamenti sensibili, non è ancora peccato finché non c'è la nostra piena e consapevole accettazione. Spesso il Signore permette che siamo tentati per saggiare la nostra fedeltà, per mantenerci umili e vigilanti dandoci una più profonda conoscenza di noi stessi, e per farci acquistare esperienza che ci conduca a comprendere, amare ed aiutare i nostri fratelli nelle loro cadute. Del resto, nessuno può mai vincere una tentazione senza la grazia di Dio. Perciò è indispensabile la preghiera, che diventa la nostra arma più efficace e, se umile e perseverante, sorgente sicura di vittoria. In fondo, il primo e peggior nemico che abbiamo siamo noi stessi; il demonio, dice S. Agostino, è un cane legato a catena che, abbaiando, cerca di impaurirci, ma morde solo quelli che gli si avvicinano. Le promesse battesimali contengono un categorico rifiuto di seguire il demonio: "Rinunci a Satana, causa e origine di ogni peccato?" - "Rinuncio!".

            L'aspetto battesimale e l’aspetto penitenziale della Quaresima, presentandoci Gesù lottatore vittorioso sul male che c'è in noi e nel mondo servono anche a ricordarci che la nostra vita sulla terra è una milizia, una milizia che, se lo vogliamo, avrà l'appannaggio della vittoria perché Lui ha vinto.

 

                                           D. Ferdinando Rancan

                                          da “La moneta del tempo”

                                                        Terza parte

 

Quarta parte

 

N. 4.   Aspetto sacrificale della Pasqua di Cristo

 

La Quaresima, come ogni itinerario, ha la sua meta: è l'incontro con Cristo nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione. L'itinerario battesimale della Quaresima approda alla Pasqua sacrificale di Cristo: il Battesimo conduce all'Eucaristia. Abbiamo visto che il battesimo ci ricorda l'aspetto salvifico della pasqua prefigurato nella pasqua ebraica dell'Esodo, mentre l'Eucaristia ci ricorda la pasqua sacrificale di Cristo. I due aspetti sono intimamente legati tra loro perché non ci può essere l'uno senza l'altro. Il Battesimo e l'Eucaristia sono sgorgati dal sacrificio di Cristo: "dalla ferita del suo fianco effuse sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa"[1] Dunque il centro della Pasqua cristiana è il sacrificio della Croce. Infatti, prima di essere un atto salvifico che ripara i nostri peccati, il sacrificio di Cristo è un atto di culto a Dio, un atto di obbedienza al Padre, e diventa salvifico proprio perché è un atto di adorazione al Padre.

            C'è un episodio dell'Antico Testamento che ci ricorda l'aspetto sacrificale della Pasqua cristiana ed è riportato in una delle sette letture bibliche che si leggono nella Veglia della notte di Pasqua: l'episodio del sacrificio compiuto da Abramo. Abramo aveva avuto miracolosamente un figlio, Isacco, che secondo la promessa di Dio doveva garantirgli la discendenza "numerosa come le stelle del cielo e come l'arena del mare". Ma, quando fu cresciuto, Dio lo chiese ad Abramo in olocausto. Quel figlio era il suo unigenito, in lui Abramo aveva riposto tutto il suo amore, la sua speranza, il suo futuro. Il racconto, scarno e lineare, è carico di intensità drammatica: Isacco, con il carico della legna sulle spalle, seguiva il padre che lentamente saliva il monte Moria, l'attuale Calvario. Il silenzio pesava più del sudore, più della fatica, più della montagna. Improvvisamente una domanda, greve come il rumore dei passi: "Padre mio!... Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?" - "Dio provvederà, figlio mio!" E sul monte Moria Dio provvide; vi fece trovare l'agnello per il sacrificio. Anche Cristo, portando la croce sulle spalle, salì il Calvario seguendo la volontà del Padre e offrendo sé stesso come Agnello innocente, fu sacrificato al posto di tutti noi.

            A questo episodio non si dà, di solito, un significato strettamente pasquale, e tuttavia è l'episodio che più di ogni altro si addice, profeticamente, al sacrificio di Cristo; viene infatti ricordato nella prima Prece eucaristica della Messa. Fu un sacrificio di obbedienza, cioè di adorazione alla volontà del Padre. In questo sta tutto il valore della passione e della morte di Gesù. Le terribili sofferenze fisiche e gli stessi insulti e umiliazioni subite nella passione non hanno avuto la durezza e il peso di dolore e di ripugnanza che ha avuto il sì obbedienziale che Gesù ha pronunziato nell'agonia del Getsemani.

            In quella notte Gesù era irriconoscibile: cominciò a tremare di paura e, preso da tristezza mortale, cadde con la faccia a terra come un cencio. "In preda all'angoscia, pregava più intensamente; il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra".[2] Nessuno mai potrà misurare quello che Gesù ha provato nella sua anima in quella "agonia". - Padre, passi da me questo calice! - Non era il calice delle sofferenze fisiche, non era il calice degli insulti e dei maltrattamenti, era il calice della "sconfitta", della maledizione legata al peccato. La croce era il segno che Dio aveva "abbandonato" suo Figlio alla sconfitta di fronte agli uomini. Una sconfitta senza possibilità di rivincita; sconfessato dai suoi e da tutti gli uomini, Gesù apparirà sconfessato anche da Dio. "Discendi dalla croce e ti crederemo (...) Ha confidato in Dio; lo liberi ora, se gli vuol bene, poiché ha detto sono Figlio di Dio!". [3]

            La Lettera agli Ebrei allude a quella "agonia" obbedienziale quando scrive: "...egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lagrime a Colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì..."[4] "Fu esaudito..." non nel senso che gli fu risparmiata l'umiliazione e la morte, ma nel senso che fu reso capace di quella obbedienza salvifica che lo portò ad accettare la "maledizione" e la sconfitta della croce. Lo liberò infatti dall'angoscia e dalla tristezza mortale che lo aveva schiacciato nell'Orto degli olivi. Egli non si difenderà; non tornerà in piazza a convincere i suoi avversari della sua innocenza e a mostrare agli uomini la sua potenza e la sua vittoria sulla morte. Accetterà di risorgere e salire al cielo esclusivamente per la gloria del Padre, rinunciando ad ogni significato di rivincita umana davanti al mondo e anche davanti ai suoi apostoli. Fu liberato dall'angoscia e dalla morte interiore "per la sua pietà", per la sua consapevolezza di figlio di Dio che obbediva al Padre. Un angelo fu la conferma che il Padre aveva accolto la supplica straziante del suo Figlio diletto.

            Gesù uscì da quella orazione trasformato; era tornato quello di sempre: forte, sicuro di sé, padrone delle situazioni... Perciò la sua inspiegabile remissività di fronte ai suoi nemici riempì di stupore gli Apostoli che, incoraggiati perfino dalla difesa che Gesù prese per loro, lo abbandonarono e fuggirono. Gesù subirà con estrema consapevolezza e dignità l'esecuzione materiale di ciò che egli aveva accettato nel Getsemani con piena e filiale adesione alla volontà del Padre.

            La morte di Gesù ha dunque, agli occhi del mondo, le apparenze di una sconfitta, di un fallimento, ma agli occhi della nostra fede essa è stata un "sacrificio", cioè un atto di culto a Dio. Ciò significa che Gesù non è morto per circostanze fatali, sopraffatto dai suoi nemici che alla fine hanno avuto ragione di lui; non è stato un eroe di questo mondo che dopo aver lottato per la giustizia e altri nobili cause, soccombe travolto dall'astuzia e dalla perfidia degli uomini. Gesù è morto perché l'ha voluto lui; egli volontariamente si è consegnato alla morte in obbedienza al Padre. E lo ha fatto quando ha voluto lui, quando venne "la sua ora", quella segnata dal Padre. Molte volte i suoi nemici avevano tentato di catturarlo, ma egli non lo permise mostrandosi ogni volta padrone delle situazioni e degli avvenimenti. "Io offro la mia vita... Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo"[5]

            Di più: l'atto stesso della sua morte non è stato pura conseguenza dei maltrattamenti della passione - molti hanno cercato inutilmente di spiegare la causa ultima della morte di Gesù -; Gesù stesso ha deciso il momento di dare la sua vita. Quando Gesù, dando un forte grido, esclama: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" e muore[6] non ha fatto semplicemente un atto di fiducia e di filiale abbandono nelle mani del Padre, ma ha compiuto un vero atto oblativo e sacrificale di sé stesso. In definitiva, Gesù non subisce la morte, ma offre la vita. Perciò il suo sacrificio fu l'atto supremo dell'amore, fu tutto e solo amore.

            Questa fu la pasqua sacrificale di Gesù, che egli portò a compimento sulla croce, completamente annientato, elevato da terra, nudo, sconfitto e fallito. E questo fu il prezzo della nostra salvezza, della nostra pace, della nostra felicità eterna. Nell'Eucaristia Gesù continuerà questa presenza sacrificale, e la Pasqua del cristiano sarà la partecipazione a questa Pasqua del Signore, finché egli venga.

 

                                       D. Ferdinando Rancan

                                    da “La moneta del tempo”

                                                 quarta parte

 

 



[1] Prefazio dalla Messa votiva del S.Cuore

[2] Lc. 22,44

[3] Mt. 27,43

[4] Ebrei, 5,7

[5] Gv. 10,17-18

[6] Lc. 23,46


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