BRANI TRATTI DAL LIBRO
“IN
QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO”
ed. Fede e Cultura
di
Ferdinando Rancan
Cari amici ho pensato di inviarvi alcune
pagine del libro di d. Ferdinando Rancan tratta dal libro "IN QUELLA CASA
C ERO ANCH IO".. Si tratta di riflessioni di Gesù (ovviamente dell’autore
che si immedesima nella vita di Gesù) riguardanti i momenti salienti che
preludono la sua morte in croce. In questa prima puntata troviamo "il
pianto su Gerusalemme" che Gesù compie durante il suo ingresso trionfale
che i cristiani definiscono "la domenica delle Palme". Gesù piange su
Gerusalemme perché verrà dIstrutta (70 anni dopo dall’imperatore romano Tito) e
questo perché non ha riconosciuto LUI, GESÙ il Messia che stava lì davanti al
popolo compiendo miracoli e guarigioni. Buona lettura con l'augurio che Gesù ci
conceda almeno qualche volta nella vita, il DONO DELLE LACRIME che possono
facilitare il nostro colloquio intimo con Dio.
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IL PIANTO SU GERUSALEMME
N. 1. IL LAMENTO DI GESÙ “Ah! Ecco, siede deserta la città un tempo ricca di popolo! È diventata come una vedova, la grande fra le Nazioni! (…) Dalla figlia di Sion è scomparso ogni splendore… i suoi nemici la guardano e ridono della sua rovina (…).
Chi potrà consolarti, vergine
figlia di Sion? Poiché grande come il mare è la tua rovina. Contro di te
battono le mani quanti passano per la via, scrollano il capo sulla figlia di
Gerusalemme: “ È questa la città che dicevano bellezza perfetta, gioia di tutta
la terra?”
Gerusalemme è diventata come un
panno immondo in mezzo ai suoi nemici!
Stupite, o cieli, inorridite come
non mai. Poiché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato
me, fonte d’acqua viva, e si sono scavate cisterne, cisterne screpolate, che
non contengono l’acqua.”
Sei secoli prima, queste lacrime
su Gerusalemme le versava il grande Profeta Geremia; egli piangeva sulle rovine
della sua città messa a ferro e a fuoco dagli eserciti di Babilonia. Quelle
lacrime cadevano sulle rovine della Città santa, ma il motivo non erano quelle
rovine. Il Profeta versava lacrime sull’infedeltà di Gerusalemme. Il popolo
eletto era venuto meno all’Alleanza col suo Dio. Il pianto del Profeta e i suoi
struggenti lamenti andavano ben oltre il desolante spettacolo di una città
distrutta. Quelle rovine fumanti non erano dovute alle armi di Nabucodonosor,
ma alla infedeltà di Israele verso il suo Signore.
Ora, quella città è qui davanti ai
tuoi occhi, o Gesù; la sua infedeltà all’Alleanza si consuma oggi nel rifiuto
verso il suo Dio che viene a lei mansueto su un asinello. È un dolore d’amore
quello che stringe il tuo cuore; tutte le strade che hai percorso per salire a
Gerusalemme sono state strade d’amore e non c’è altra risposta al rifiuto della
Città amata che le lagrime di dolore. Gerusalemme! Gerusalemme! Quanta tragica
ironia in questo nome. La città che s’intitola “visione di pace” non ha saputo
riconoscere ciò che giova alla sua pace! In quel momento, quella “visione di
pace” si trasformava ai tuoi occhi, o Signore, in una “visione di distruzione e
di guerra”, di dolore e di pianto.
Ma il tuo sguardo, o Gesù,
immensamente più profetico di quello di Geremia, va ben oltre alla tua città,
alle sue mura e al suo Tempio, al suo splendore così dolorosamente offuscato da
un destino di morte. Per te ogni anima è una città santa, ogni anima è una
Gerusalemme dove Dio ha compiuto le sue meraviglie; e quando quest’anima si
cinge di mura impenetrabili, mura di indifferenza, di rifiuto, di ostinata chiusura
alla voce di Dio che viene a visitarla, quest’anima finirà preda del maligno
che distruggerà in lei ogni grazia, spegnerà ogni bellezza, cancellerà ogni
segno dell’amore di Dio riducendola a un tizzone fumante, a un luogo tenebroso
“dove è pianto e stridore di denti”. È la fine miseranda di ogni anima che
rifiuta la visita di Dio il vero motivo del tuo pianto!
Gesù, chi mai ti renderà
giustizia? Chi mai salverà Gerusalemme o la farà risorgere dalle sue ceneri?
Solo il Padre tuo potrà renderti giustizia e solo Lui potrà glorificarti. Egli
infatti non perde battaglie; lo Spirito che egli farà sgorgare dalla tua
vittoria e dalla tua gloria rinnoverà la terra e preparerà una nuova
Gerusalemme. Giovanni, che ora è testimone del tuo pianto e del tuo lamento,
sarà un giorno il profeta della nuova creazione, della Gerusalemme celeste che
il Padre preparerà per i suoi eletti.
“Vidi la città santa, la nuova
Gerusalemme, discesa dal cielo, da Dio, preparata come una sposa adorna per il
suo sposo. E udii dal trono una voce possente che disse: ‘Ecco la dimora di Dio
con gli uomini ed egli dimorerà con loro ed essi saranno suo popolo ed egli
sarà il Dio-con-loro. E asciugherà ogni lagrima dai loro occhi; non vi sarà più
la morte, né lutto, né grida, né dolore’ (…). L’Angelo poi mi mostrò la santa
Gerusalemme, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a
quello di una gemma preziosa, di diaspro cristallino. È una città dalle grandi
mura… di dodicimila stadi… con dodici basamenti… con dodici porte… con dodici
nomi…; con dodici Angeli… una città tutta d’oro purissimo, simile a terso
cristallo. I suoi basamenti sono di pietre preziose: diaspro, zaffiro,
calcedonio, smeraldo, sardonico, cornalina, crisolito, berillo, topazio,
crisoprasio, giacinto, ametista. La piazza della città è di oro puro. In essa
non vidi alcun Tempio: l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo Tempio. La città
non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio
la illumina e la sua lampada è l’Agnello”.
“Le nazioni cammineranno alla sua
luce e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. Le sue porte non si
chiuderanno mai… e non entrerà in essa nulla di impuro… e non vi sarà più
maledizione. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello: i suoi servi
lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte… E
regneranno nei secoli dei secoli”.
Gesù, le tue lacrime faranno di
ogni anima che ti accoglierà una Gerusalemme celeste, nuova, splendente di
eternità.
GIOVEDI’ SANTO
Istituzione della Santa Eucaristia
e del Sacramento del Sacerdozio
N. 2 - Il Dono più grande Eucaristia! Dono di ogni dono. Gesù, tu stavi per donarti totalmente al Padre, e hai voluto donarti totalmente a noi. Fino alla fine dei tempi tu sarai in mezzo a noi come l’Amore misericordioso del Padre e come il Redentore dell’uomo. Ormai non ci sarà più bisogno dell’agnello pasquale; ogni sacrificio e ogni vittima offerta dall’uomo non avrà più valore. Sarai tu l’unico Agnello, l’unica Vittima, l’unico Altare, l’unico Sacerdote: questa stanza è diventata stasera il cuore del mondo.
L’amore
cerca l’unione completa, la comunione piena. Tu sei una sola cosa col Padre,
hai voluto essere, nell’Eucaristia, una sola cosa con noi. La comunione tra due
persone è proporzionale al loro amore: il tuo amore trascende ogni misura
umana, perciò la comunione che desideri realizzare con noi, trascende ogni
comunione umana. Nell’amore sponsale “saranno due in una sola carne”,
nell’Eucaristia saremo due in un solo corpo e in un solo spirito: tu in me e io
in te. Nella comunione eucaristica tu mi unisci al tuo corpo e al tuo sangue,
mi fai partecipe della tua divinità, della tua filiazione divina, e anticipi la
mia comunione con te nella gloria.
Gesù
mio, potremo noi comprendere questa pazzia d’amore che ti ha preso? Potremo mai
misurare le altezze vertiginose del tuo prodigio, la profondità abissale del
tuo dono, l’ampiezza incommensurabile della tua sete d’amore? Come potremo noi
corrispondere a questa tua sete, lasciarci amare dallo stesso amore che ti
unisce al Padre, ed essere anche noi una sola cosa con te? Gesù mio, come
potremo seguirti su questa strada? “Ho desiderato ardentemente di mangiare
questa Pasqua con voi”… Comunica anche a noi il desiderio ardente di comunione
con te, di condividere la tua vita, di partecipare alla tua Pasqua ed essere
anche noi uniti nell’amore, e un giorno uniti nella gloria!
Gesù,
hai voluto che i tuoi Apostoli potessero rinnovare quello che tu hai fatto
questa sera. Perciò li hai fatti partecipi del tuo sacerdozio, hai chiesto loro
di rinnovare lungo i secoli il tuo gesto di amore, il gesto sacrificale che
offre ad ogni uomo la possibilità di incontrarti come Redentore, e di unirsi al
tuo sacrificio, al tuo corpo sacrificato e al tuo sangue versato, corpo e
sangue che danno la salvezza, la vita eterna, il diritto a risorgere con te
nella gloria. Ogni sacerdote diventerà un altro te stesso e, usando le tue
stesse parole, potrà rinnovare su tutti gli altari della terra il miracolo di
questa Cena. I tuoi Apostoli saranno il fondamento della Chiesa in quanto
saranno i sacerdoti della tua Eucaristia. Dove non c’è Eucaristia, non ci sarà
Chiesa. Con l’Eucaristia tu prolungherai nei secoli, in mezzo a tutti i popoli
della terra, la tua presenza: presenza di salvezza, presenza di Dio che cerca,
redime, cammina con le sue creature su tutti i cammini della terra, che ormai
saranno per sempre i cammini del Cielo.
Gesù
mio, come hai potuto pensare una cosa simile? Come hai potuto inventarti una
meraviglia come questa, un miracolo così grande? Solo un amore senza limiti può
fare questo, e tu ci hai amati “fino in fondo”! Solo l’onnipotenza di un Dio
innamorato, “impazzito!” per la sua creatura può arrivare a tanto. Un giorno,
su tutta la faccia della terra, innumerevoli tabernacoli saranno, in mezzo
all’umanità, tanti “roveti ardenti” che parleranno d’amore, tante sorgenti
d’Acqua viva, tante fonti di grazia e di misericordia, luoghi di pace e di
riposo. Lì, innumerevoli anime assetate d’amore troveranno colui che s’è fatto
“prigioniero d’amore” per non lasciare orfani quanti dall’Amore sono nati e
all’Amore hanno creduto.
(…)
3
- “Non abbiate paura!” Dopo queste battute di dialogo,
gli Apostoli parvero rassegnati, oppure si sentirono paghi di quello che
avevano capito e non parlarono più. Era comunque un silenzio che nascondeva
attesa e riflessione insieme a tanta perplessità. Quali erano in definitiva i
progetti di Gesù? Che cosa intendeva fare il Signore in quei giorni di Pasqua o
nell’immediato futuro? Che senso avevano le cose da lui compiute e i discorsi
che aveva fatto? Una cosa era certa, e lui l’aveva ripetutamente affermata: lo
attendevano momenti difficili e straordinariamente dolorosi, i capi del popolo
e i sacerdoti lo avrebbero preso, maltrattato e - diceva lui - ucciso. Ma
proprio questa era la cosa che istintivamente tutti allontanavano dai propri
pensieri e di cui nessuno aveva il coraggio di parlare. Ogni tanto il mio
sguardo si incontrava con quello di Maddalena, che stava all’altro angolo del
Cenacolo, e anche nel nostro sguardo c’era aspettativa, apprensione e anche un
tantino di angoscia.
In questa atmosfera di incertezza,
di dubbio e di paura, che pesavano come macigni sull’animo di tutti, Gesù
riprese a parlare. Parlava adagio, con voce calda ma anche vibrante, come se
volesse comunicarci sicurezza, fiducia, e soprattutto difenderci dall’angoscia.
Gli Apostoli ascoltavano in silenzio, alcuni appoggiati alla tavola, altri
seduti con le braccia sulle ginocchia o con la faccia sorretta dal palmo delle
mani, mentre Giovanni continuava abbandonato confidenzialmente sul petto del
Signore, ma tutti col desiderio di ascoltare parole rassicuranti che fugassero
i tristi presentimenti che ormai si erano impossessati del nostro animo.
Proprio per infonderci fiducia,
Gesù intercalava ogni tanto le sue parole con l’invito: “Non abbiate paura, non si turbi il vostro cuore... Vi ho detto, sì,
che vado al Padre, ma non vi lascerò orfani; io sarò con voi sempre. Quello che
vi chiedo è di rimanere nel mio amore. Rimarrete nel mio amore se osserverete i
miei comandamenti. E se uno mi ama e osserverà la mia parola, anche il Padre
mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Non solo,
ma io voglio che resti con voi anche la mia pace. La pace che vi do io, non è
quella che vi promette il mondo. Nel mondo avrete tribolazioni e il mondo si
rallegrerà di vedervi afflitti; anzi il mondo stesso vi odierà e come ha
perseguitato me, perseguiterà anche voi. Il mondo vi odia perché non siete del
mondo. Se foste del mondo esso amerebbe ciò che è suo, ma il mondo non ha
conosciuto né me né il Padre mio. Per questo avrete da soffrire; ve lo dico
adesso prima che avvenga, perché non vi scandalizziate. Ma coraggio! Abbiate
pace in me! Io ho vinto il mondo”.
La veglia notturna del giovedì Santo
(da meditare con attenzione!)
N. 4
- La
solitudine di Dio Gesù mio! Chi mai avrebbe potuto
vegliare con te in quella notte? Chi mai avrebbe potuto pregare la tua
preghiera, unirsi alla supplica straziante che dal tuo cuore saliva verso il
Cielo? Quale creatura avrebbe mai potuto aiutarti nella titanica agonia che ha
schiacciato la tua anima fino a farti trasudare rivoli di sangue? E quale
essere umano poteva farti compagnia nell’abisso della tua tristezza, o sopportare
il mare sconfinato della tua angoscia? Tu, invece, hai voluto cercare aiuto e
sei venuto a noi a mendicare anche solo una parola, uno sguardo, un silenzio…;
e noi non abbiamo saputo darti altro che sonno, torpore, apatia.
Gesù
mio, come hai potuto farlo? Può l’Onnipotenza di Dio cercare aiuto nella
debolezza dell’uomo? Può la Sapienza eterna di Dio chiedere comprensione dove
non c’è intelligenza per capire? E può “Colui che è”, invocare sostegno da
“colui che non è?”.
Gesù
mio, chi mai poteva pensare che in quel “verme della terra” che strisciava
nella polvere c’era il Figlio diletto del Padre? Chi mai poteva immaginare che
in quelle urla che straziavano i cieli notturni c’era la voce del Verbo eterno
che ha creato la terra e tutto l’universo? No, Gesù mio, no! Non potevi venire
da noi, perché noi non potevamo venire da te. Eri solo nel deserto quando hai
sconfitto il nemico infernale, e dovevi restare solo questa notte nel
Getsemani, quando il maligno è tornato a insidiarti.
Noi
non lo sapevamo, né abbiamo potuto vederlo, ma esso era lì, accovacciato
davanti a te; ti chiedeva di non dare la tua vita per esseri spregevoli e
indegni come noi, di non accettare la croce che avrebbe significato la tua
sconfitta di fronte al mondo, o semmai di riscattarci con la spada; avevi
legioni di angeli pronti per farti trionfare sui tuoi nemici e mostrare al
mondo la tua forza. E tu invece hai voluto mettere in guardia anche noi, perché
Satana sarebbe venuto a vagliarci come il grano.
Ma
per noi non c’era bisogno della tentazione, a tentarci bastavano la nostra
miseria e la nostra debolezza. Del resto, sapeva bene il Maligno che, percosso
il pastore, anche le pecore sarebbero andate disperse. Satana è venuto per te,
con te esso aveva un conto ancora aperto ed era tutto da saldare. Esso è venuto
ad afferrare in una morsa la tua umanità usando le armi più subdole della sua
astuzia e della sua rabbia per impedirti di compiere la volontà del Padre.
Egli, fin da principio, è stato il “rifiuto”; il suo nome è “ribellione”. E noi
gli avevamo creduto. Perciò solo tu potevi dire: “Ecco, io vengo o Padre, a
fare la tua volontà”. La tua solitudine è dunque la conseguenza del tuo essere
Figlio di Dio, e la tua angoscia è conseguenza del tuo farti figlio dell’uomo:
il ribelle. E tu dovevi sconfiggere la ribellione con l’obbedienza.
Ecco
perché in quella notte eravamo tutti lì, non solo con te, ma dentro di te. Tu
eri in quel momento tutta l’umanità dolente e straziata, tutta l’umanità triste
e malvagia: l’umanità peccatrice. In quel momento tutti i Caino che hanno
ucciso, tutti i Giuda che hanno tradito, tutti gli spergiuri che hanno
bestemmiato, tutti gli Erode che hanno sterminato gli innocenti erano lì e
pesavano su di te. In te si sono ammassati gli abitanti di Sodoma e Gomorra, gli
abitatori di Ninive e di Babilonia, gli inquilini delle galere di tutti i
tempi. Tu eri l’erede di tutti i Faraoni che hanno oppresso i popoli, di tutti
gli Epuloni che hanno disprezzato i poveri, di tutti gli schiavisti che hanno
venduto come merce da pochi soldi milioni di fratelli. Tutto ciò che è
violenza, tradimento, spergiuro, infedeltà, vendetta, ingiustizia e menzogna
era lì, scritto sulle tue mani, sulla tua fronte, sui tuoi occhi, su tutto il
tuo corpo, nel tuo cuore. Tutte le madri che hanno soffocato nel grembo le
proprie creature, tutte le prostitute che hanno mercificato il proprio corpo,
tutti gli adulteri che hanno tradito e infangato l’amore, tutte le Erodiadi che
hanno sedotto e chiesto la testa dei Profeti di Dio: un carico immenso di vergogna
pesava sulle tue spalle. Su di te l’orrore dei lager, dei forni crematori, dei
gulag, delle foibe, dei campi di sterminio, delle pulizie etniche. I Giacobini
di tutti i tempi, tutti i Napoleoni che hanno insanguinato del loro orgoglio le
contrade della terra, tutti i potenti del mondo che hanno riempito gli arsenali
di bombe atomiche, e tutta la brutale crudeltà di quanti hanno inventato i
capestri, i roghi, la ghigliottina e i più raffinati strumenti di tortura,
tutti costoro con tutti i malvagi della terra, erano lì con te in quella notte,
portavano scritto il tuo nome. Gesù, come hai potuto caricarti di tante
iniquità? Come hai potuto mentire al mondo intero, ingannare, tradire,
opprimere con leggi perverse i popoli della terra? Perfino i corruttori di
bambini, i profittatori d’innocenti, gli oppressori dei deboli: tutti col tuo
nome! Tu eri in quella notte davanti al Padre tutto il male del mondo, tutte le
iniquità della terra!
Gesù mio! Chi poteva reggere a questa marea di fango e di
putridume? Chi poteva trasformare questa infinita e tragica ribellione
dell’uomo in una docile obbedienza all’amore del Padre? Ed ecco che tu sei
sceso nell’abisso e ti sei fatto maledizione per ottenerci misericordia!
E così hai sconfitto il maligno: l’umiltà e l’obbedienza sono
incompatibili con la superbia e la ribellione. Tu, infatti, pur essendo Dio, ti
sei annientato prendendo la natura di servo, divenendo simile a noi peccatori,
e ti sei umiliato facendoti obbediente “fino alla morte, e alla morte di croce”.
Gesù
mio! Ecco perché il creato è rimasto immobile questa notte, impietrito e muto
davanti alla tua agonia; nessuna creatura era in grado di un gesto, di una
parola, di un segno. Nessuno avrebbe potuto dirti nulla, né darti nulla. E così
i cieli e la terra resteranno i soli testimoni del tuo “Si” al Padre, e
l’Angelo Michele, che ha preso il posto del Maligno, ti ha portato dal cielo il
conforto del Padre: “Tu sei il Figlio mio diletto!”.
Gesù
mio, quel tuo “fiat” mi richiama alla memoria l’altro “fiat” che oltre
trent’anni prima una fanciulla quattordicenne consegnò all’Angelo del Signore:
il ”fiat” di tua madre che seppe dire: “Sono la serva del Signore, si compia in
me la volontà di Dio”. In questa notte fu lei l’unica creatura che ha saputo
vegliare con te; l’unica che ha potuto unirsi alla tua orazione e alla tua
agonia. Nel Cenacolo, che ha visto il tuo supremo dono d’amore, Maria, raccolta
in preghiera, ha vegliato con te con gemiti di silenzio e con le lacrime del
cuore, ha partecipato alla tua immane agonia, ha gridato anche lei con tutte le
forze della sua anima: “Abbà! Abbà! Abba!” - “Sì, Padre mio! Si, Padre
nostro!”. Lei nel Cenacolo e tu nel Getsemani: un'unica preghiera, un unico
grido, un unico “fiat”!
Gesù
mio, non meravigliarti di noi; non dei tre intimi che hai voluto accanto a te,
non degli altri Apostoli, né di nessun altro di noi. Possiamo solo contemplare
attoniti e impotenti, come l’intero universo, la tua agonia, e dirti, questo
sì, senza limiti ed eternamente: “Grazie! Grazie della tua passione e della tua
orazione, grazie della tua vittoria, del tuo dolore e del tuo amore!”.
E
grazie anche a te, Madre mia, Madre del dolore e Madre dell’amore. Forse solo
la Maddalena ha saputo vegliare con te, ma senza capire e senza sapere. Ha
vegliato amando, perché l’amore è l’unica cosa che Maddalena conosce, l’unica
cosa che muove il suo cuore. Ed è l’unica cosa che anche noi possiamo imparare
vivendo accanto a te, perché è l’unica strada che alla fine può ricondurci al
Padre.
(…)
5- IL SERVO DI JAHVE’
Un
amore ferito e oltraggiato non può pensare ad altro che alla persona amata. E
così Maddalena, non potendo più trattenere il dolore lancinante che s’era
accumulato nel suo cuore, si lanciò verso Maria e aggrappandosi al collo di
lei, cominciò a gridare fra i singhiozzi: “No!…
No!… No!…”. Non riusciva a dire altro; era il grido di chi non poteva
accettare una realtà inaccettabile, di chi dentro al suo animo respingeva con
tutte le sue forze il pensiero che fosse vero ciò che era stato narrato da Giuseppe
di Arimatea sui flagelli inferti a Gesù; era il gemito inconsolabile di
un’anima innamorata di fronte alla soppressione ingiusta e crudele della
persona amata.
Maria
la teneva stretta a sé teneramente e le passava dolcemente la mano sulla testa
finché si placarono i singulti e ruppe silenzioso il torrente delle lacrime.
Allora Maria, con una voce che pareva venisse da lontano, o dal profondo,
segnata comunque dalla tristezza e dal dolore, aprì il Libro dei Salmi e
cominciò a leggere:
“Oracolo del Signore!
Ecco il mio Servo:
è cresciuto come un virgulto
come una radice in terra arida.
Non ha apparenza, né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per potercene compiacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà la salvezza si è abbattuto su di
lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare.
E non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà sé stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto, mio servo, giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato sé stesso alla morte
ed è stato annoverato tra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.”
Mentre
parlava, Maria teneva chiuse le palpebre come se quel testo del profeta Isaia
scorresse dentro di lei e lo leggesse scritto nel suo cuore. La sua voce si
faceva ora tremante, ora serena e pacata, e ogni tanto si fermava per qualche
istante di pausa. Quei versetti scorrevano nel silenzio come fuoco liquido, ma
insieme arrivavano al nostro cuore come olio salutare e balsamico.
Eravamo
tutti raccolti nella sala grande della casa: i familiari di Marco, gli
Apostoli, Giuseppe di Arimatea, alcuni discepoli e noi. Nessuno si era accorto
della propria stanchezza né della propria fatica; solo Marco s’era
addormentato, rannicchiato su un divano. Anche le lacrime della Maddalena si
erano fermate. Maria allora la sollevò adagio, le asciugò il volto, e: “Va’, - disse - prendi i nostri scialli e un vasetto di sali o di essenze; è venuto il
momento di andare”.
Alcuni
si alzarono, altri guardarono Maria per capire che cosa fare. Ma ella
intervenne raccomandando a tutti di non muoversi e di ricordarsi invece del
salmo di David, il salmo n. 2 del salterio, perché solo la parola che Dio ci ha
rivolto per mezzo dei Profeti può aiutarci a capire e ad accettare gli
avvenimenti che non comprendiamo. A Maria di Marco raccomandò di rincuorare
tutti con qualcosa da mettere nello stomaco. Poi aiutò Maddalena a mettersi in
ordine e uscirono.
(…)
N. 6 - Madre del Redentore e dei redenti” E così, Madre mia, Gesù ti ha proclamata Madre nostra.
In quel discepolo amato ci siamo tutti noi. Da oggi ogni creatura umana può
invocarti come Madre. Il Figlio tuo appeso alla croce, ci ha ottenuto di
diventare anche noi figli di Dio e figli tuoi. Questa è dunque la “sua ora”, ma
è anche la “tua ora”; per lui l’ora del sacrificio, per te l’ora delle doglie,
l’ora del parto. Colui che tu hai partorito senza dolore, ora nasce dal tuo
dolore e nasce come primogenito di una moltitudine di fratelli. Gesù crocifisso
inaugura la tua maternità universale che abbraccia tutti gli uomini fino alla
fine dei tempi.
Perciò
in questo momento tu sei qui, in mezzo a noi, ma non sei con noi. I tuoi
sentimenti e i tuoi pensieri non sono i nostri pensieri. Giuseppe e Nicodemo
pensano con rammarico e disappunto alla loro sconfitta davanti al Sinedrio e
stanno pensando a come provvedere alla sepoltura di Gesù; Maddalena è in preda
al dolore di un amore ferito e impotente per la persona che ha più cara al
mondo; Myriam e Salome, smarrite e costernate, pensano a Gesù, ma anche ai loro
figli, a ciò che ne sarà di loro; lo stesso Giovanni non sa come orientarsi in
mezzo a eventi che sfuggono ancora alla sua comprensione.
E
io…, io non riesco a fare altro che guardare. Guardo lui e guardo te, ora più
che mai Madre mia; poi guardo a questa folla che non sa perché grida e che adesso
se ne va con quattro soldi di compenso, paga di aver assecondato i suoi
“padroni”; e guardo anche loro, i padroni: Farisei, Sadducei, Sacerdoti che
hanno appagato la loro sete di vendetta e di odio, e che ora stanno tornando in
fretta alle loro case perché devono celebrare la Pasqua, devono consumare un
vano ed inutile agnello dopo aver ucciso l’Agnello vero, quello senza macchia,
venuto a liberare l’umanità col suo sangue. E poi torno ancora a guardare lui,
l’Agnello mansueto, maltrattato e vilipeso, attaccato a quella croce impietosa
e crudele, bagnata dal suo sangue, e poi guardo ancora te, Madre mia, che sei
qui in mezzo a noi, ma non con noi.
Non
sei con noi perché i tuoi pensieri seguono lontane voci che si alternano nel
tuo cuore e ti richiamano l’ineffabile sequenza delle meraviglie che Dio ha
compiuto in te e con te per la salvezza degli uomini: “Lo chiamerai Gesù…
perché libererà il suo popolo dai suoi peccati”. - “Benedetto il frutto del tuo
seno… e beata colei che ha creduto a ciò che è stato detto dal Signore”. -
“Ecco, Egli è posto per la caduta e per la risurrezione di molti in Israele…
segno di contraddizione”. - “A te una spada trafiggerà l’anima”. - “Perché mi
cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di ciò che riguarda il Padre mio?”.
- “Che vuoi da me, o Donna? Non è ancora giunta la mia ora”. - “E chi è mia
madre?… Chi fa la volontà del Padre mio, ecco mia Madre!”.
Sono
le voci che da anni parlano al tuo cuore e che ora, lì, davanti al tuo Gesù
crocifisso, ti dischiudono tutto il significato della tua vita e della tua
missione.
Madre
mia, ora come non mai ti rendi conto che Gesù, prima che Figlio tuo, è Figlio
del Padre. Il Padre lo ha inviato a te, e lo Spirito Santo lo ha fatto
sbocciare nel tuo grembo; tu lo hai dato al mondo e lo hai partorito a noi come
luce e come grazia, ora lo restituisci al Padre, immolato e crocifisso. Egli è
lì, Sacerdote e Vittima, sacrificato sull’altare della croce; ma c’è un altro
altare, invisibile e nascosto, segnato dal sangue di un’altra vittima: è il tuo
cuore di Madre. Su quell’altare tu offri te stessa al Padre, non come
sacerdote, ma come Madre del Redentore, Sommo ed Eterno Sacerdote, e perciò
Madre di tutti i redenti.
Io
ti guardo qui, ritta ai piedi della croce, estranea a quanto accade intorno a
te e intorno a noi; tutto dentro di te è teso a realizzare ciò che Gesù ti ha
chiesto: “Donna, ecco tuo Figlio!”, cioè la tua maternità dolorosa, la tua
maternità di redenzione. In questo momento la tua anima, il tuo cuore, i tuoi
pensieri, tutta la tua persona non hanno altro impegno che quello di partorire
il tuo Figlio-Redentore e i tuoi figli-redenti.
Perciò
da questo momento non mi sento più il bambino che tu hai adottato e accolto
nella tua casa, ma il figlio partorito dal tuo dolore e dal tuo cuore
crocifisso, un figlio che, su richiesta di Gesù, ti prende con sé, e ti porterà
dovunque lo porteranno le strade della vita.
(…)
Ultimo capitolo
N. 7 - La Croce Gesù, ora davvero tutto è compiuto! “Consummatum est!” I cieli e la terra ti hanno contemplato appeso a quel legno. Ora giaci nel sepolcro, e quel sepolcro chiuso e sigillato vuol significare che tutto è davvero compiuto. La missione ricevuta dal Padre e iniziata nel grembo di Maria quando hai detto: “Vengo, o Padre, a fare la tua volontà” ha raggiunto oggi su quella croce il suo sublime compimento. Tutto è dunque compiuto, ma non tutto è finito.
Quella croce, anche se tolta dal Calvario, rimarrà
ormai per sempre piantata nella carne della terra, e proietterà la sua ombra
sul tempo e sulla storia umana, un’ombra gigantesca, sempre più grande lungo i
secoli. La tua croce, da segno di maledizione, è ora pegno di benedizione per
tutta l’umanità. È l’Albero della Vita, il legno da cui sgorga il fiume della
Misericordia. La tua Chiesa sarà così il “Popolo della Croce”, e porterà la
croce lungo tutti i cammini della terra come un vessillo regale. La croce sarà
il sigillo con cui Dio firmerà le sue opere.
Gesù, non tutto è finito. La tua croce continuerà a
cercare non solo il suo “cireneo” che la porti e la pianti sulla cima di tutte
le attività umane e la inscriva nelle viscere del mondo, ma anche il suo
crocifisso che venga a “completare nella sua carne ciò che manca” alla tua
passione. Gesù mio, non tutto è finito. La tua passione continuerà nella tua
Chiesa e continuerà nella vita di ogni discepolo che vorrà seguirti. “La Croce
sul tuo petto?… - Bene. Ma… la Croce sulle tue spalle, la Croce nella tua
carne, la croce nella tua intelligenza. - Così vivrai per Cristo, con Cristo e
in Cristo” (Cammino n. 929).
“Quando vedi una povera croce di legno, sola, senza
importanza e senza valore … e senza Crocifisso, non dimenticare che quella
Croce è la tua Croce, quella di ogni giorno, quella nascosta, senza splendore e
senza consolazione…, che sta aspettando il crocifisso che le manca: e quel
crocifisso devi essere tu”. (Cammino n. 178).
Gesù, sono queste le verità che devo capire, le verità
che devo vivere. Ecco perché non tutto è finito. “Quando sarò innalzato da
terra, attirerò tutti a me!”. Un giorno, quando scriverà il suo Vangelo,
Giovanni, testimone con noi della tua crocifissione, ricorderà un’espressione
del Profeta Zaccaria: “Guarderanno a colui che hanno trafitto”. Guarderanno a
te, sospeso alla croce non dai chiodi, ma dall’amore. Guarderanno a te
innalzato da terra e saranno attirati al tuo amore.
Gesù mio, su quel legno che ti tiene innalzato da
terra, trono e altare, tu resterai per sempre l’icona del dolore e della
speranza umana. Davanti a te sfileranno gli uomini di tutti i tempi: per molti
sarai uno scandalo, una provocazione alla loro intelligenza; per altri sarai
una pazzia, un assurdo per la loro mentalità mondana; per molti altri sarai il
libro sul quale hai scritto col tuo sangue l’amore e la misericordia del Padre.
Un libro sempre aperto come le braccia che tieni spalancate verso il cielo e
verso gli uomini. Su quel libro innumerevoli anime impareranno a conoscere
l’amore, il sacrificio, il dono totale di sé; sulle tue piaghe aperte tutti noi
potremo leggere il nostro nome e la nostra vita. Le tue ferite saranno il luogo
del nostro riposo e della nostra pace.
Le tue ferite. Cinque fenditure immense nella roccia
della tua carne; cinque sigilli di autenticità per il mondo intero. Per farti
riconoscere dai tuoi Apostoli, mostrerai le mani, i piedi e il costato: le
cinque lettere della parola: Amore.
La ferita della tua mano destra: quella mano che ha
accarezzato bambini e innocenti, che è passata come balsamo su membra doloranti
e corpi sofferenti, che ha sollevato la Maddalena e tante anime ferite dalla
contrizione e dall’amore, che tante volte si è posata dolcemente sul capo di
Giovanni, quella mano che ha beneficato tutti spargendo su tutti misericordia e
salvezza.
La ferita della tua mano sinistra: quella mano che ha
cacciato con forza i demoni, che ha domato il furore delle tempeste, che si è
alzata contro i venditori del Tempio, quella mano che ha tremato di tristezza
nell’offrire il boccone al traditore svelato.
E poi le ferite dei tuoi piedi: quei piedi che si sono
affaticati sulle strade della terra in cerca degli uomini in fuga dalla casa
paterna; che si sono impolverati e feriti sulle pietre della via dolorosa, i
piedi che lacrime di pentimento hanno lavato, che baci ardenti hanno fasciato
d’amore, che olio di nardo prezioso ha impregnato di devozione; i piedi di Dio,
i piedi che “hanno aperto i cammini divini della terra”, che hanno lasciato
orme di luce e di amore a quanti vorranno seguirti per annunciare agli uomini
la salvezza e la pace.
E infine la grande ferita del tuo costato: la
fenditura immensa spalancata sull’abisso della misericordia, la fenditura che
conduce al Cuore di Dio, all’intimità con la vita trinitaria. Dal tuo cuore
squarciato sgorga l’acqua viva della Grazia e della salvezza. “Guarderanno a
Colui che hanno trafitto…”, “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me”.
Guarderanno a te con lo sguardo della fede, con gli occhi del cuore. Davanti al
tuo cuore trafitto non è possibile non credere. Chi non ha fede è perché non ha
guardato a te, trafitto sulla croce. Giovanni, che era lì testimone, ha “visto”
quel colpo di lancia e lo ricorderà agli uomini perché credano.
Gesù mio, dentro le tue piaghe
troveremo rifugio, troveremo la forza per la nostra debolezza, riposo per le
nostre fatiche, sicurezza nei nostri dubbi, conferma per la nostra speranza,
luce, conforto e gioia per la nostra anima. Gesù, guarderemo a te crocifisso
per compiere anche noi la volontà del Padre, per morire anche noi alle opere
della carne, per dare anche noi la vita per i nostri fratelli. Guarderemo a te
crocifisso per capire che c’è un senso nel nostro dolore, che c’è fondamento
alla nostra gioia, e una meta luminosa per la nostra speranza. Guarderemo a te
crocifisso per capire che “Dio è Amore”.
Da
“In quella casa c’ero anch’io”
di Ferdinando Rancan
Ed. Fede e Cultura
FINE
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