giovedì 17 aprile 2025

LA SETTIMANA SANTA . RIFLESSIONI DI DON FERDINANDO RANCAN

                                              BRANI TRATTI DAL LIBRO

“IN QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO”

ed. Fede e Cultura

di Ferdinando Rancan

 

 Cari amici ho pensato di inviarvi alcune pagine del libro di d. Ferdinando Rancan tratta dal libro "IN QUELLA CASA C ERO ANCH IO".. Si tratta di riflessioni di Gesù (ovviamente dell’autore che si immedesima nella vita di Gesù) riguardanti i momenti salienti che preludono la sua morte in croce. In questa prima puntata troviamo "il pianto su Gerusalemme" che Gesù compie durante il suo ingresso trionfale che i cristiani definiscono "la domenica delle Palme". Gesù piange su Gerusalemme perché verrà dIstrutta (70 anni dopo dall’imperatore romano Tito) e questo perché non ha riconosciuto LUI, GESÙ il Messia che stava lì davanti al popolo compiendo miracoli e guarigioni. Buona lettura con l'augurio che Gesù ci conceda almeno qualche volta nella vita, il DONO DELLE LACRIME che possono facilitare il nostro colloquio intimo con Dio.


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 IL PIANTO SU GERUSALEMME   

 N. 1. IL LAMENTO DI GESÙ “Ah! Ecco, siede deserta la città un tempo ricca di popolo! È diventata come una vedova, la grande fra le Nazioni! (…) Dalla figlia di Sion è scomparso ogni splendore… i suoi nemici la guardano e ridono della sua rovina (…).

Chi potrà consolarti, vergine figlia di Sion? Poiché grande come il mare è la tua rovina. Contro di te battono le mani quanti passano per la via, scrollano il capo sulla figlia di Gerusalemme: “ È questa la città che dicevano bellezza perfetta, gioia di tutta la terra?”

Gerusalemme è diventata come un panno immondo in mezzo ai suoi nemici!

Stupite, o cieli, inorridite come non mai. Poiché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, fonte d’acqua viva, e si sono scavate cisterne, cisterne screpolate, che non contengono l’acqua.”

 

Sei secoli prima, queste lacrime su Gerusalemme le versava il grande Profeta Geremia; egli piangeva sulle rovine della sua città messa a ferro e a fuoco dagli eserciti di Babilonia. Quelle lacrime cadevano sulle rovine della Città santa, ma il motivo non erano quelle rovine. Il Profeta versava lacrime sull’infedeltà di Gerusalemme. Il popolo eletto era venuto meno all’Alleanza col suo Dio. Il pianto del Profeta e i suoi struggenti lamenti andavano ben oltre il desolante spettacolo di una città distrutta. Quelle rovine fumanti non erano dovute alle armi di Nabucodonosor, ma alla infedeltà di Israele verso il suo Signore.

Ora, quella città è qui davanti ai tuoi occhi, o Gesù; la sua infedeltà all’Alleanza si consuma oggi nel rifiuto verso il suo Dio che viene a lei mansueto su un asinello. È un dolore d’amore quello che stringe il tuo cuore; tutte le strade che hai percorso per salire a Gerusalemme sono state strade d’amore e non c’è altra risposta al rifiuto della Città amata che le lagrime di dolore. Gerusalemme! Gerusalemme! Quanta tragica ironia in questo nome. La città che s’intitola “visione di pace” non ha saputo riconoscere ciò che giova alla sua pace! In quel momento, quella “visione di pace” si trasformava ai tuoi occhi, o Signore, in una “visione di distruzione e di guerra”, di dolore e di pianto.

Ma il tuo sguardo, o Gesù, immensamente più profetico di quello di Geremia, va ben oltre alla tua città, alle sue mura e al suo Tempio, al suo splendore così dolorosamente offuscato da un destino di morte. Per te ogni anima è una città santa, ogni anima è una Gerusalemme dove Dio ha compiuto le sue meraviglie; e quando quest’anima si cinge di mura impenetrabili, mura di indifferenza, di rifiuto, di ostinata chiusura alla voce di Dio che viene a visitarla, quest’anima finirà preda del maligno che distruggerà in lei ogni grazia, spegnerà ogni bellezza, cancellerà ogni segno dell’amore di Dio riducendola a un tizzone fumante, a un luogo tenebroso “dove è pianto e stridore di denti”. È la fine miseranda di ogni anima che rifiuta la visita di Dio il vero motivo del tuo pianto!

Gesù, chi mai ti renderà giustizia? Chi mai salverà Gerusalemme o la farà risorgere dalle sue ceneri? Solo il Padre tuo potrà renderti giustizia e solo Lui potrà glorificarti. Egli infatti non perde battaglie; lo Spirito che egli farà sgorgare dalla tua vittoria e dalla tua gloria rinnoverà la terra e preparerà una nuova Gerusalemme. Giovanni, che ora è testimone del tuo pianto e del tuo lamento, sarà un giorno il profeta della nuova creazione, della Gerusalemme celeste che il Padre preparerà per i suoi eletti.

“Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, discesa dal cielo, da Dio, preparata come una sposa adorna per il suo sposo. E udii dal trono una voce possente che disse: ‘Ecco la dimora di Dio con gli uomini ed egli dimorerà con loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E asciugherà ogni lagrima dai loro occhi; non vi sarà più la morte, né lutto, né grida, né dolore’ (…). L’Angelo poi mi mostrò la santa Gerusalemme, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosa, di diaspro cristallino. È una città dalle grandi mura… di dodicimila stadi… con dodici basamenti… con dodici porte… con dodici nomi…; con dodici Angeli… una città tutta d’oro purissimo, simile a terso cristallo. I suoi basamenti sono di pietre preziose: diaspro, zaffiro, calcedonio, smeraldo, sardonico, cornalina, crisolito, berillo, topazio, crisoprasio, giacinto, ametista. La piazza della città è di oro puro. In essa non vidi alcun Tempio: l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo Tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”.

“Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. Le sue porte non si chiuderanno mai… e non entrerà in essa nulla di impuro… e non vi sarà più maledizione. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello: i suoi servi lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte… E regneranno nei secoli dei secoli”.

Gesù, le tue lacrime faranno di ogni anima che ti accoglierà una Gerusalemme celeste, nuova, splendente di eternità.

                                                              

                                      GIOVEDI’ SANTO

Istituzione della Santa Eucaristia

e del Sacramento del Sacerdozio

N.  2 - Il Dono più grande      Eucaristia! Dono di ogni dono. Gesù, tu stavi per donarti totalmente al Padre, e hai voluto donarti totalmente a noi. Fino alla fine dei tempi tu sarai in mezzo a noi come l’Amore misericordioso del Padre e come il Redentore dell’uomo. Ormai non ci sarà più bisogno dell’agnello pasquale; ogni sacrificio e ogni vittima offerta dall’uomo non avrà più valore. Sarai tu l’unico Agnello, l’unica Vittima, l’unico Altare, l’unico Sacerdote: questa stanza è diventata stasera il cuore del mondo.

L’amore cerca l’unione completa, la comunione piena. Tu sei una sola cosa col Padre, hai voluto essere, nell’Eucaristia, una sola cosa con noi. La comunione tra due persone è proporzionale al loro amore: il tuo amore trascende ogni misura umana, perciò la comunione che desideri realizzare con noi, trascende ogni comunione umana. Nell’amore sponsale “saranno due in una sola carne”, nell’Eucaristia saremo due in un solo corpo e in un solo spirito: tu in me e io in te. Nella comunione eucaristica tu mi unisci al tuo corpo e al tuo sangue, mi fai partecipe della tua divinità, della tua filiazione divina, e anticipi la mia comunione con te nella gloria.

Gesù mio, potremo noi comprendere questa pazzia d’amore che ti ha preso? Potremo mai misurare le altezze vertiginose del tuo prodigio, la profondità abissale del tuo dono, l’ampiezza incommensurabile della tua sete d’amore? Come potremo noi corrispondere a questa tua sete, lasciarci amare dallo stesso amore che ti unisce al Padre, ed essere anche noi una sola cosa con te? Gesù mio, come potremo seguirti su questa strada? “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”… Comunica anche a noi il desiderio ardente di comunione con te, di condividere la tua vita, di partecipare alla tua Pasqua ed essere anche noi uniti nell’amore, e un giorno uniti nella gloria!

Gesù, hai voluto che i tuoi Apostoli potessero rinnovare quello che tu hai fatto questa sera. Perciò li hai fatti partecipi del tuo sacerdozio, hai chiesto loro di rinnovare lungo i secoli il tuo gesto di amore, il gesto sacrificale che offre ad ogni uomo la possibilità di incontrarti come Redentore, e di unirsi al tuo sacrificio, al tuo corpo sacrificato e al tuo sangue versato, corpo e sangue che danno la salvezza, la vita eterna, il diritto a risorgere con te nella gloria. Ogni sacerdote diventerà un altro te stesso e, usando le tue stesse parole, potrà rinnovare su tutti gli altari della terra il miracolo di questa Cena. I tuoi Apostoli saranno il fondamento della Chiesa in quanto saranno i sacerdoti della tua Eucaristia. Dove non c’è Eucaristia, non ci sarà Chiesa. Con l’Eucaristia tu prolungherai nei secoli, in mezzo a tutti i popoli della terra, la tua presenza: presenza di salvezza, presenza di Dio che cerca, redime, cammina con le sue creature su tutti i cammini della terra, che ormai saranno per sempre i cammini del Cielo.

Gesù mio, come hai potuto pensare una cosa simile? Come hai potuto inventarti una meraviglia come questa, un miracolo così grande? Solo un amore senza limiti può fare questo, e tu ci hai amati “fino in fondo”! Solo l’onnipotenza di un Dio innamorato, “impazzito!” per la sua creatura può arrivare a tanto. Un giorno, su tutta la faccia della terra, innumerevoli tabernacoli saranno, in mezzo all’umanità, tanti “roveti ardenti” che parleranno d’amore, tante sorgenti d’Acqua viva, tante fonti di grazia e di misericordia, luoghi di pace e di riposo. Lì, innumerevoli anime assetate d’amore troveranno colui che s’è fatto “prigioniero d’amore” per non lasciare orfani quanti dall’Amore sono nati e all’Amore hanno creduto.

 

(…)

 

3 - “Non abbiate paura!”      Dopo queste battute di dialogo, gli Apostoli parvero rassegnati, oppure si sentirono paghi di quello che avevano capito e non parlarono più. Era comunque un silenzio che nascondeva attesa e riflessione insieme a tanta perplessità. Quali erano in definitiva i progetti di Gesù? Che cosa intendeva fare il Signore in quei giorni di Pasqua o nell’immediato futuro? Che senso avevano le cose da lui compiute e i discorsi che aveva fatto? Una cosa era certa, e lui l’aveva ripetutamente affermata: lo attendevano momenti difficili e straordinariamente dolorosi, i capi del popolo e i sacerdoti lo avrebbero preso, maltrattato e - diceva lui - ucciso. Ma proprio questa era la cosa che istintivamente tutti allontanavano dai propri pensieri e di cui nessuno aveva il coraggio di parlare. Ogni tanto il mio sguardo si incontrava con quello di Maddalena, che stava all’altro angolo del Cenacolo, e anche nel nostro sguardo c’era aspettativa, apprensione e anche un tantino di angoscia.

In questa atmosfera di incertezza, di dubbio e di paura, che pesavano come macigni sull’animo di tutti, Gesù riprese a parlare. Parlava adagio, con voce calda ma anche vibrante, come se volesse comunicarci sicurezza, fiducia, e soprattutto difenderci dall’angoscia. Gli Apostoli ascoltavano in silenzio, alcuni appoggiati alla tavola, altri seduti con le braccia sulle ginocchia o con la faccia sorretta dal palmo delle mani, mentre Giovanni continuava abbandonato confidenzialmente sul petto del Signore, ma tutti col desiderio di ascoltare parole rassicuranti che fugassero i tristi presentimenti che ormai si erano impossessati del nostro animo.

Proprio per infonderci fiducia, Gesù intercalava ogni tanto le sue parole con l’invito: “Non abbiate paura, non si turbi il vostro cuore... Vi ho detto, sì, che vado al Padre, ma non vi lascerò orfani; io sarò con voi sempre. Quello che vi chiedo è di rimanere nel mio amore. Rimarrete nel mio amore se osserverete i miei comandamenti. E se uno mi ama e osserverà la mia parola, anche il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Non solo, ma io voglio che resti con voi anche la mia pace. La pace che vi do io, non è quella che vi promette il mondo. Nel mondo avrete tribolazioni e il mondo si rallegrerà di vedervi afflitti; anzi il mondo stesso vi odierà e come ha perseguitato me, perseguiterà anche voi. Il mondo vi odia perché non siete del mondo. Se foste del mondo esso amerebbe ciò che è suo, ma il mondo non ha conosciuto né me né il Padre mio. Per questo avrete da soffrire; ve lo dico adesso prima che avvenga, perché non vi scandalizziate. Ma coraggio! Abbiate pace in me! Io ho vinto il mondo”.

 

                        La veglia notturna del giovedì Santo

 (da meditare con attenzione!)

N. 4 -  La solitudine di Dio      Gesù mio! Chi mai avrebbe potuto vegliare con te in quella notte? Chi mai avrebbe potuto pregare la tua preghiera, unirsi alla supplica straziante che dal tuo cuore saliva verso il Cielo? Quale creatura avrebbe mai potuto aiutarti nella titanica agonia che ha schiacciato la tua anima fino a farti trasudare rivoli di sangue? E quale essere umano poteva farti compagnia nell’abisso della tua tristezza, o sopportare il mare sconfinato della tua angoscia? Tu, invece, hai voluto cercare aiuto e sei venuto a noi a mendicare anche solo una parola, uno sguardo, un silenzio…; e noi non abbiamo saputo darti altro che sonno, torpore, apatia.

Gesù mio, come hai potuto farlo? Può l’Onnipotenza di Dio cercare aiuto nella debolezza dell’uomo? Può la Sapienza eterna di Dio chiedere comprensione dove non c’è intelligenza per capire? E può “Colui che è”, invocare sostegno da “colui che non è?”.

Gesù mio, chi mai poteva pensare che in quel “verme della terra” che strisciava nella polvere c’era il Figlio diletto del Padre? Chi mai poteva immaginare che in quelle urla che straziavano i cieli notturni c’era la voce del Verbo eterno che ha creato la terra e tutto l’universo? No, Gesù mio, no! Non potevi venire da noi, perché noi non potevamo venire da te. Eri solo nel deserto quando hai sconfitto il nemico infernale, e dovevi restare solo questa notte nel Getsemani, quando il maligno è tornato a insidiarti.

Noi non lo sapevamo, né abbiamo potuto vederlo, ma esso era lì, accovacciato davanti a te; ti chiedeva di non dare la tua vita per esseri spregevoli e indegni come noi, di non accettare la croce che avrebbe significato la tua sconfitta di fronte al mondo, o semmai di riscattarci con la spada; avevi legioni di angeli pronti per farti trionfare sui tuoi nemici e mostrare al mondo la tua forza. E tu invece hai voluto mettere in guardia anche noi, perché Satana sarebbe venuto a vagliarci come il grano.

Ma per noi non c’era bisogno della tentazione, a tentarci bastavano la nostra miseria e la nostra debolezza. Del resto, sapeva bene il Maligno che, percosso il pastore, anche le pecore sarebbero andate disperse. Satana è venuto per te, con te esso aveva un conto ancora aperto ed era tutto da saldare. Esso è venuto ad afferrare in una morsa la tua umanità usando le armi più subdole della sua astuzia e della sua rabbia per impedirti di compiere la volontà del Padre. Egli, fin da principio, è stato il “rifiuto”; il suo nome è “ribellione”. E noi gli avevamo creduto. Perciò solo tu potevi dire: “Ecco, io vengo o Padre, a fare la tua volontà”. La tua solitudine è dunque la conseguenza del tuo essere Figlio di Dio, e la tua angoscia è conseguenza del tuo farti figlio dell’uomo: il ribelle. E tu dovevi sconfiggere la ribellione con l’obbedienza.

Ecco perché in quella notte eravamo tutti lì, non solo con te, ma dentro di te. Tu eri in quel momento tutta l’umanità dolente e straziata, tutta l’umanità triste e malvagia: l’umanità peccatrice. In quel momento tutti i Caino che hanno ucciso, tutti i Giuda che hanno tradito, tutti gli spergiuri che hanno bestemmiato, tutti gli Erode che hanno sterminato gli innocenti erano lì e pesavano su di te. In te si sono ammassati gli abitanti di Sodoma e Gomorra, gli abitatori di Ninive e di Babilonia, gli inquilini delle galere di tutti i tempi. Tu eri l’erede di tutti i Faraoni che hanno oppresso i popoli, di tutti gli Epuloni che hanno disprezzato i poveri, di tutti gli schiavisti che hanno venduto come merce da pochi soldi milioni di fratelli. Tutto ciò che è violenza, tradimento, spergiuro, infedeltà, vendetta, ingiustizia e menzogna era lì, scritto sulle tue mani, sulla tua fronte, sui tuoi occhi, su tutto il tuo corpo, nel tuo cuore. Tutte le madri che hanno soffocato nel grembo le proprie creature, tutte le prostitute che hanno mercificato il proprio corpo, tutti gli adulteri che hanno tradito e infangato l’amore, tutte le Erodiadi che hanno sedotto e chiesto la testa dei Profeti di Dio: un carico immenso di vergogna pesava sulle tue spalle. Su di te l’orrore dei lager, dei forni crematori, dei gulag, delle foibe, dei campi di sterminio, delle pulizie etniche. I Giacobini di tutti i tempi, tutti i Napoleoni che hanno insanguinato del loro orgoglio le contrade della terra, tutti i potenti del mondo che hanno riempito gli arsenali di bombe atomiche, e tutta la brutale crudeltà di quanti hanno inventato i capestri, i roghi, la ghigliottina e i più raffinati strumenti di tortura, tutti costoro con tutti i malvagi della terra, erano lì con te in quella notte, portavano scritto il tuo nome. Gesù, come hai potuto caricarti di tante iniquità? Come hai potuto mentire al mondo intero, ingannare, tradire, opprimere con leggi perverse i popoli della terra? Perfino i corruttori di bambini, i profittatori d’innocenti, gli oppressori dei deboli: tutti col tuo nome! Tu eri in quella notte davanti al Padre tutto il male del mondo, tutte le iniquità della terra!

Gesù mio! Chi poteva reggere a questa marea di fango e di putridume? Chi poteva trasformare questa infinita e tragica ribellione dell’uomo in una docile obbedienza all’amore del Padre? Ed ecco che tu sei sceso nell’abisso e ti sei fatto maledizione per ottenerci misericordia!

E così hai sconfitto il maligno: l’umiltà e l’obbedienza sono incompatibili con la superbia e la ribellione. Tu, infatti, pur essendo Dio, ti sei annientato prendendo la natura di servo, divenendo simile a noi peccatori, e ti sei umiliato facendoti obbediente “fino alla morte, e alla morte di croce”.

Gesù mio! Ecco perché il creato è rimasto immobile questa notte, impietrito e muto davanti alla tua agonia; nessuna creatura era in grado di un gesto, di una parola, di un segno. Nessuno avrebbe potuto dirti nulla, né darti nulla. E così i cieli e la terra resteranno i soli testimoni del tuo “Si” al Padre, e l’Angelo Michele, che ha preso il posto del Maligno, ti ha portato dal cielo il conforto del Padre: “Tu sei il Figlio mio diletto!”.

 

Gesù mio, quel tuo “fiat” mi richiama alla memoria l’altro “fiat” che oltre trent’anni prima una fanciulla quattordicenne consegnò all’Angelo del Signore: il ”fiat” di tua madre che seppe dire: “Sono la serva del Signore, si compia in me la volontà di Dio”. In questa notte fu lei l’unica creatura che ha saputo vegliare con te; l’unica che ha potuto unirsi alla tua orazione e alla tua agonia. Nel Cenacolo, che ha visto il tuo supremo dono d’amore, Maria, raccolta in preghiera, ha vegliato con te con gemiti di silenzio e con le lacrime del cuore, ha partecipato alla tua immane agonia, ha gridato anche lei con tutte le forze della sua anima: “Abbà! Abbà! Abba!” - “Sì, Padre mio! Si, Padre nostro!”. Lei nel Cenacolo e tu nel Getsemani: un'unica preghiera, un unico grido, un unico “fiat”!

Gesù mio, non meravigliarti di noi; non dei tre intimi che hai voluto accanto a te, non degli altri Apostoli, né di nessun altro di noi. Possiamo solo contemplare attoniti e impotenti, come l’intero universo, la tua agonia, e dirti, questo sì, senza limiti ed eternamente: “Grazie! Grazie della tua passione e della tua orazione, grazie della tua vittoria, del tuo dolore e del tuo amore!”.

E grazie anche a te, Madre mia, Madre del dolore e Madre dell’amore. Forse solo la Maddalena ha saputo vegliare con te, ma senza capire e senza sapere. Ha vegliato amando, perché l’amore è l’unica cosa che Maddalena conosce, l’unica cosa che muove il suo cuore. Ed è l’unica cosa che anche noi possiamo imparare vivendo accanto a te, perché è l’unica strada che alla fine può ricondurci al Padre.

                                                 (…)


 5-           IL SERVO DI JAHVE’

Un amore ferito e oltraggiato non può pensare ad altro che alla persona amata. E così Maddalena, non potendo più trattenere il dolore lancinante che s’era accumulato nel suo cuore, si lanciò verso Maria e aggrappandosi al collo di lei, cominciò a gridare fra i singhiozzi: “No!… No!… No!…”. Non riusciva a dire altro; era il grido di chi non poteva accettare una realtà inaccettabile, di chi dentro al suo animo respingeva con tutte le sue forze il pensiero che fosse vero ciò che era stato narrato da Giuseppe di Arimatea sui flagelli inferti a Gesù; era il gemito inconsolabile di un’anima innamorata di fronte alla soppressione ingiusta e crudele della persona amata.

Maria la teneva stretta a sé teneramente e le passava dolcemente la mano sulla testa finché si placarono i singulti e ruppe silenzioso il torrente delle lacrime. Allora Maria, con una voce che pareva venisse da lontano, o dal profondo, segnata comunque dalla tristezza e dal dolore, aprì il Libro dei Salmi e cominciò a leggere:

 

“Oracolo del Signore!

Ecco il mio Servo:

è cresciuto come un virgulto

come una radice in terra arida.

Non ha apparenza, né bellezza

per attirare i nostri sguardi,

non splendore per potercene compiacere.

Disprezzato e reietto dagli uomini,

uomo dei dolori che ben conosce il patire,

come uno davanti al quale ci si copre la faccia,

era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,

si è addossato i nostri dolori

e noi lo giudicavamo castigato,

percosso da Dio e umiliato.

Egli è stato trafitto per i nostri delitti,

schiacciato per le nostre iniquità.

Il castigo che ci dà la salvezza si è abbattuto su di lui;

per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,

ognuno di noi seguiva la sua strada;

il Signore fece ricadere su di lui

l’iniquità di noi tutti.

Maltrattato, si lasciò umiliare.

E non aprì la sua bocca;

era come agnello condotto al macello,

come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,

e non aprì la sua bocca.

Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;

chi si affligge per la sua sorte?

Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,

per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.

Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.

Quando offrirà sé stesso in espiazione,

vedrà una discendenza, vivrà a lungo,

si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.

Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce

e si sazierà della sua conoscenza;

il giusto, mio servo, giustificherà molti,

egli si addosserà la loro iniquità.

Perciò io gli darò in premio le moltitudini,

dei potenti egli farà bottino,

perché ha consegnato sé stesso alla morte

ed è stato annoverato tra gli empi,

mentre egli portava il peccato di molti

e intercedeva per i peccatori.”

 

Mentre parlava, Maria teneva chiuse le palpebre come se quel testo del profeta Isaia scorresse dentro di lei e lo leggesse scritto nel suo cuore. La sua voce si faceva ora tremante, ora serena e pacata, e ogni tanto si fermava per qualche istante di pausa. Quei versetti scorrevano nel silenzio come fuoco liquido, ma insieme arrivavano al nostro cuore come olio salutare e balsamico.

Eravamo tutti raccolti nella sala grande della casa: i familiari di Marco, gli Apostoli, Giuseppe di Arimatea, alcuni discepoli e noi. Nessuno si era accorto della propria stanchezza né della propria fatica; solo Marco s’era addormentato, rannicchiato su un divano. Anche le lacrime della Maddalena si erano fermate. Maria allora la sollevò adagio, le asciugò il volto, e: “Va’, - disse - prendi i nostri scialli e un vasetto di sali o di essenze; è venuto il momento di andare”.

Alcuni si alzarono, altri guardarono Maria per capire che cosa fare. Ma ella intervenne raccomandando a tutti di non muoversi e di ricordarsi invece del salmo di David, il salmo n. 2 del salterio, perché solo la parola che Dio ci ha rivolto per mezzo dei Profeti può aiutarci a capire e ad accettare gli avvenimenti che non comprendiamo. A Maria di Marco raccomandò di rincuorare tutti con qualcosa da mettere nello stomaco. Poi aiutò Maddalena a mettersi in ordine e uscirono.

(…)

  

N. 6 - Madre del Redentore e dei redenti E così, Madre mia, Gesù ti ha proclamata Madre nostra. In quel discepolo amato ci siamo tutti noi. Da oggi ogni creatura umana può invocarti come Madre. Il Figlio tuo appeso alla croce, ci ha ottenuto di diventare anche noi figli di Dio e figli tuoi. Questa è dunque la “sua ora”, ma è anche la “tua ora”; per lui l’ora del sacrificio, per te l’ora delle doglie, l’ora del parto. Colui che tu hai partorito senza dolore, ora nasce dal tuo dolore e nasce come primogenito di una moltitudine di fratelli. Gesù crocifisso inaugura la tua maternità universale che abbraccia tutti gli uomini fino alla fine dei tempi.

Perciò in questo momento tu sei qui, in mezzo a noi, ma non sei con noi. I tuoi sentimenti e i tuoi pensieri non sono i nostri pensieri. Giuseppe e Nicodemo pensano con rammarico e disappunto alla loro sconfitta davanti al Sinedrio e stanno pensando a come provvedere alla sepoltura di Gesù; Maddalena è in preda al dolore di un amore ferito e impotente per la persona che ha più cara al mondo; Myriam e Salome, smarrite e costernate, pensano a Gesù, ma anche ai loro figli, a ciò che ne sarà di loro; lo stesso Giovanni non sa come orientarsi in mezzo a eventi che sfuggono ancora alla sua comprensione.

E io…, io non riesco a fare altro che guardare. Guardo lui e guardo te, ora più che mai Madre mia; poi guardo a questa folla che non sa perché grida e che adesso se ne va con quattro soldi di compenso, paga di aver assecondato i suoi “padroni”; e guardo anche loro, i padroni: Farisei, Sadducei, Sacerdoti che hanno appagato la loro sete di vendetta e di odio, e che ora stanno tornando in fretta alle loro case perché devono celebrare la Pasqua, devono consumare un vano ed inutile agnello dopo aver ucciso l’Agnello vero, quello senza macchia, venuto a liberare l’umanità col suo sangue. E poi torno ancora a guardare lui, l’Agnello mansueto, maltrattato e vilipeso, attaccato a quella croce impietosa e crudele, bagnata dal suo sangue, e poi guardo ancora te, Madre mia, che sei qui in mezzo a noi, ma non con noi.

Non sei con noi perché i tuoi pensieri seguono lontane voci che si alternano nel tuo cuore e ti richiamano l’ineffabile sequenza delle meraviglie che Dio ha compiuto in te e con te per la salvezza degli uomini: “Lo chiamerai Gesù… perché libererà il suo popolo dai suoi peccati”. - “Benedetto il frutto del tuo seno… e beata colei che ha creduto a ciò che è stato detto dal Signore”. - “Ecco, Egli è posto per la caduta e per la risurrezione di molti in Israele… segno di contraddizione”. - “A te una spada trafiggerà l’anima”. - “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di ciò che riguarda il Padre mio?”. - “Che vuoi da me, o Donna? Non è ancora giunta la mia ora”. - “E chi è mia madre?… Chi fa la volontà del Padre mio, ecco mia Madre!”.

Sono le voci che da anni parlano al tuo cuore e che ora, lì, davanti al tuo Gesù crocifisso, ti dischiudono tutto il significato della tua vita e della tua missione.

Madre mia, ora come non mai ti rendi conto che Gesù, prima che Figlio tuo, è Figlio del Padre. Il Padre lo ha inviato a te, e lo Spirito Santo lo ha fatto sbocciare nel tuo grembo; tu lo hai dato al mondo e lo hai partorito a noi come luce e come grazia, ora lo restituisci al Padre, immolato e crocifisso. Egli è lì, Sacerdote e Vittima, sacrificato sull’altare della croce; ma c’è un altro altare, invisibile e nascosto, segnato dal sangue di un’altra vittima: è il tuo cuore di Madre. Su quell’altare tu offri te stessa al Padre, non come sacerdote, ma come Madre del Redentore, Sommo ed Eterno Sacerdote, e perciò Madre di tutti i redenti.

Io ti guardo qui, ritta ai piedi della croce, estranea a quanto accade intorno a te e intorno a noi; tutto dentro di te è teso a realizzare ciò che Gesù ti ha chiesto: “Donna, ecco tuo Figlio!”, cioè la tua maternità dolorosa, la tua maternità di redenzione. In questo momento la tua anima, il tuo cuore, i tuoi pensieri, tutta la tua persona non hanno altro impegno che quello di partorire il tuo Figlio-Redentore e i tuoi figli-redenti.

Perciò da questo momento non mi sento più il bambino che tu hai adottato e accolto nella tua casa, ma il figlio partorito dal tuo dolore e dal tuo cuore crocifisso, un figlio che, su richiesta di Gesù, ti prende con sé, e ti porterà dovunque lo porteranno le strade della vita.

                                                                       (…)

 Ultimo capitolo

 N. 7 - La Croce      Gesù, ora davvero tutto è compiuto! “Consummatum est!” I cieli e la terra ti hanno contemplato appeso a quel legno. Ora giaci nel sepolcro, e quel sepolcro chiuso e sigillato vuol significare che tutto è davvero compiuto. La missione ricevuta dal Padre e iniziata nel grembo di Maria quando hai detto: “Vengo, o Padre, a fare la tua volontà” ha raggiunto oggi su quella croce il suo sublime compimento. Tutto è dunque compiuto, ma non tutto è finito.  

Quella croce, anche se tolta dal Calvario, rimarrà ormai per sempre piantata nella carne della terra, e proietterà la sua ombra sul tempo e sulla storia umana, un’ombra gigantesca, sempre più grande lungo i secoli. La tua croce, da segno di maledizione, è ora pegno di benedizione per tutta l’umanità. È l’Albero della Vita, il legno da cui sgorga il fiume della Misericordia. La tua Chiesa sarà così il “Popolo della Croce”, e porterà la croce lungo tutti i cammini della terra come un vessillo regale. La croce sarà il sigillo con cui Dio firmerà le sue opere.

Gesù, non tutto è finito. La tua croce continuerà a cercare non solo il suo “cireneo” che la porti e la pianti sulla cima di tutte le attività umane e la inscriva nelle viscere del mondo, ma anche il suo crocifisso che venga a “completare nella sua carne ciò che manca” alla tua passione. Gesù mio, non tutto è finito. La tua passione continuerà nella tua Chiesa e continuerà nella vita di ogni discepolo che vorrà seguirti. “La Croce sul tuo petto?… - Bene. Ma… la Croce sulle tue spalle, la Croce nella tua carne, la croce nella tua intelligenza. - Così vivrai per Cristo, con Cristo e in Cristo” (Cammino n. 929).

“Quando vedi una povera croce di legno, sola, senza importanza e senza valore … e senza Crocifisso, non dimenticare che quella Croce è la tua Croce, quella di ogni giorno, quella nascosta, senza splendore e senza consolazione…, che sta aspettando il crocifisso che le manca: e quel crocifisso devi essere tu”. (Cammino n. 178).

Gesù, sono queste le verità che devo capire, le verità che devo vivere. Ecco perché non tutto è finito. “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me!”. Un giorno, quando scriverà il suo Vangelo, Giovanni, testimone con noi della tua crocifissione, ricorderà un’espressione del Profeta Zaccaria: “Guarderanno a colui che hanno trafitto”. Guarderanno a te, sospeso alla croce non dai chiodi, ma dall’amore. Guarderanno a te innalzato da terra e saranno attirati al tuo amore.

Gesù mio, su quel legno che ti tiene innalzato da terra, trono e altare, tu resterai per sempre l’icona del dolore e della speranza umana. Davanti a te sfileranno gli uomini di tutti i tempi: per molti sarai uno scandalo, una provocazione alla loro intelligenza; per altri sarai una pazzia, un assurdo per la loro mentalità mondana; per molti altri sarai il libro sul quale hai scritto col tuo sangue l’amore e la misericordia del Padre. Un libro sempre aperto come le braccia che tieni spalancate verso il cielo e verso gli uomini. Su quel libro innumerevoli anime impareranno a conoscere l’amore, il sacrificio, il dono totale di sé; sulle tue piaghe aperte tutti noi potremo leggere il nostro nome e la nostra vita. Le tue ferite saranno il luogo del nostro riposo e della nostra pace.

Le tue ferite. Cinque fenditure immense nella roccia della tua carne; cinque sigilli di autenticità per il mondo intero. Per farti riconoscere dai tuoi Apostoli, mostrerai le mani, i piedi e il costato: le cinque lettere della parola: Amore.

La ferita della tua mano destra: quella mano che ha accarezzato bambini e innocenti, che è passata come balsamo su membra doloranti e corpi sofferenti, che ha sollevato la Maddalena e tante anime ferite dalla contrizione e dall’amore, che tante volte si è posata dolcemente sul capo di Giovanni, quella mano che ha beneficato tutti spargendo su tutti misericordia e salvezza.

La ferita della tua mano sinistra: quella mano che ha cacciato con forza i demoni, che ha domato il furore delle tempeste, che si è alzata contro i venditori del Tempio, quella mano che ha tremato di tristezza nell’offrire il boccone al traditore svelato.

E poi le ferite dei tuoi piedi: quei piedi che si sono affaticati sulle strade della terra in cerca degli uomini in fuga dalla casa paterna; che si sono impolverati e feriti sulle pietre della via dolorosa, i piedi che lacrime di pentimento hanno lavato, che baci ardenti hanno fasciato d’amore, che olio di nardo prezioso ha impregnato di devozione; i piedi di Dio, i piedi che “hanno aperto i cammini divini della terra”, che hanno lasciato orme di luce e di amore a quanti vorranno seguirti per annunciare agli uomini la salvezza e la pace.

E infine la grande ferita del tuo costato: la fenditura immensa spalancata sull’abisso della misericordia, la fenditura che conduce al Cuore di Dio, all’intimità con la vita trinitaria. Dal tuo cuore squarciato sgorga l’acqua viva della Grazia e della salvezza. “Guarderanno a Colui che hanno trafitto…”, “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me”. Guarderanno a te con lo sguardo della fede, con gli occhi del cuore. Davanti al tuo cuore trafitto non è possibile non credere. Chi non ha fede è perché non ha guardato a te, trafitto sulla croce. Giovanni, che era lì testimone, ha “visto” quel colpo di lancia e lo ricorderà agli uomini perché credano.

Gesù mio, dentro le tue piaghe troveremo rifugio, troveremo la forza per la nostra debolezza, riposo per le nostre fatiche, sicurezza nei nostri dubbi, conferma per la nostra speranza, luce, conforto e gioia per la nostra anima. Gesù, guarderemo a te crocifisso per compiere anche noi la volontà del Padre, per morire anche noi alle opere della carne, per dare anche noi la vita per i nostri fratelli. Guarderemo a te crocifisso per capire che c’è un senso nel nostro dolore, che c’è fondamento alla nostra gioia, e una meta luminosa per la nostra speranza. Guarderemo a te crocifisso per capire che “Dio è Amore”.

                            Da “In quella casa c’ero anch’io”

                                 di Ferdinando Rancan

                                   Ed. Fede e Cultura

FINE

                 



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